I 221 prodotti italiani di qualità protetti dal riconoscimento comunitario hanno sviluppato nel 2010 un fatturato al consumo superiore ai 9 miliardi di euro, dei quali circa 1,5 miliardi realizzati sui mercati esteri attraverso l’export. È quanto stima Coldiretti in occasione della millesima registrazione di un prodotto a denominazione Ue, che ha riguardato la dop ‘piacentinu ennese’. L’Italia consolida così nel 2010 la propria posizione di leader in Europa davanti a Francia e Spagna per numero di dop, igp e stg. La crescita del giro d’affari delle specialità dop e igp è imputabile soprattutto alle buone performance ottenute dai prodotti più rilevanti economicamente: a cominciare dal grana padano, che da solo ha realizzato un valore al consumo di quasi 2,4 miliardi di euro grazie 5,3% dei consumi familiari e del boom nelle esportazioni, cresciute del 7,1% in Europa, del 14,8% in America e del 27% in Asia. Buoni risultati anche per il prosciutto crudo di Parma, che ha raggiunto nel 2010 il record di vendita negli Stati Uniti con +17% sul 2009.
A frenare la diffusione del made in Italy a denominazione rimane la proliferazione di prodotti alimentari taroccati all’estero, che sono causa di danni economici, nonché d’immagine. Il parmesan è la punta dell’iceberg di questo fenomeno dell’Italian sounding in tutto il mondo, dagli Usa all’Australia. Ma ci sono anche il pecorino romano, l’asiago e il gorgonzola prodotti negli Stati Uniti, dove si trovano anche il chianti californiano e inquietanti imitazioni di soppressata calabrese, asiago e pomodori San Marzano ‘spacciati’ come italiani. In altri casi sono persino i marchi storici a essere ‘contraffatti’ e snaturati, come nel caso della mortadella San Daniele e del prosciutto San Daniele prodotti in Canada. I Paesi dove sono più diffuse le imitazioni restano Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti, dove, secondo le stime di Coldiretti, appena il 2% dei consumi di formaggio di tipo italiano sono soddisfatti con le importazioni di formaggi made in Italy, mentre per il resto si tratta d’imitazioni e falsificazioni ottenute sul suolo americano con latte statunitense in Wisconsin, New York o California. Ma a preoccupare sono anche le tendenze di Paesi emergenti come la Cina, dove il falso made in Italy è arrivato prima di quello originale e rischia di comprometterne la crescita.
9 miliardi di euro, il fatturato 2010 di 221 dop e igp
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