Molti si chiedono se in Italia la private label sfonderà quota 20% alla fine del 2011. Tesco domina il panorama europeo, Coop quello italiano. U2 continua a crescere e altre insegne, come Conad, si apprestano a entrare nel mercato con format dove lo spazio per le marche è sempre più ristretto a vantaggio della pl. I prezzi delle materie prime tornano a salire e parte dell’industria di marca si trova spiazzata. Eppure sono due fenomeni facilmente prevedibili, che si stanno solo esacerbando prima del previsto.
Insomma, leggendo le riviste di settore e ascoltando i manager dei retailer, le marche dovrebbero essere prossime a sparire dagli scaffali. Poi basta sfogliare i quotidiani finanziari per scoprire che nel giro di pochi giorni Danone e Nestlé hanno annunciato risultati in termini di fatturato e utili superiori alle attese più rosee, soprattutto in Europa. È singolare che in un momento di successo delle private label, d’inflazione (petrolio, materie prime, ecc.) e stagnazione economica queste due aziende di marca stiano crescendo. La spiegazione più semplice è che la razionalizzazione degli assortimenti le stia facilitando, espellendo i follower e i sedicenti coleader. Il cliente è facilitato nella scelta e quando non sceglie la pl sceglie la marca leader. Questo spiegherebbe il successo di alcuni brand, ma non il perché di queste due in particolare. Qualche altra indicazione utile la troviamo sempre nelle cronache finanziarie: Lactalis compra Parmalat. Ha i soldi per farlo perché ha margini molto più elevati del nostro campione nazionale, perché da tempo e con successo ha investito in latte ad alto valore aggiunto, mentre questa tipologia di prodotto rappresenta appena il 10% nel fatturato di Parmalat. Il valore aggiunto è qualcosa di diverso dal markup che le marche considerano una sorta di privilegio divino. Il valore aggiunto sono idee, ricerca e sviluppo, innovazione: un cambiamento significativo e positivo delle cose. Infatti, se guardiamo meglio i nostri due casi, scopriamo che Danone matura circa il 75% del suo fatturato con linee che dieci anni fa non esistevano come Actimel, Activia, Danacol. Dallo yogurt è approdata a referenze innovative per capacità di incontrare non solo il gusto del cliente, ma anche le sue esigenze associate al latte. Nestlé presidia i cereali, le barrette e ha reinventato il caffè espresso con Nespresso. Sì, il successo della marca passa dall’inventare, proporre prodotti in sintonia con i bisogni del cliente. Il successo passa dalla decisione di cambiare approccio: da industria guidata dalla tecnologia a industria guidata dal bisogno di nutrizione, salute e benessere. Appena due anni fa, il mondo del retail si crogiolava nella notizia che l’innovazione nell’alimentare era fallimentare, frutto di un’analisi basata sui codici Ean che a dire il vero già all’epoca sembrava discutibile. Ora i conti economici stanno dimostrando lentamente ma inesorabilmente la leggerezza di una simile valutazione. Questo non significa che tutte le marche sopravviveranno, perché non tutte hanno la cultura dell’innovazione. Significa invece che per affrontare le crisi prossime venture (inflazione, aumento delle materie, povertà, lotta alla sovralimentazione) e avere successo non basterà imitare le industrie come erano dieci anni fa, ma si dovrà prendere spunto dai migliori e innovare la propria offerta.
Gianluca Greco, consulente di Ars et Inventio
L’innovazione esiste e genera profitti
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