Si apre un nuovo capitolo nella querelle tra Bernardo Caprotti – fondatore e patron di Esselunga – e Coop Italia, dopo che il Tribunale di Milano ha condannato il 17 settembre scorso Caprotti per il suo libro “Falce e Carrello”, pubblicato nel 2007 da Marsilio. Nel pamphlet, il presidente di Esselunga denunciava l'”ostruzionismo” degli amministratori locali e degli operatori economici in Emilia Romagna e Liguria a sfavore di Esselunga e a vantaggio di Coop.
Con una sentenza che ha suscitato immediato scalpore, il Tribunale di Milano ha sancito che il libro di Caprotti costiuisce «un’illecita concorrenza per denigrazione ai danni di Coop Italia» e ha condannato Esselunga a un risarcimento pari a 300mila euro e al ritiro del pamphlet dal mercato, vietando inoltre a reiterarne la pubblicazione e a diffonderne gli scritti. Oltre a Caprotti e a Esselunga spa risultano condannati anche Geminello Alvi, curatore della prefazione, Stefano Filippi coautore e la casa editrice.
E così Caprotti (86 anni) ha ripreso la penna in mano e ha scelto la tribuna del Corriere per rispondere direttamente e ufficialmente alla bagarre mediatica (e politica) sollevata dalla sentenza.
In attesa, però, di sfoderare un secondo – e più clamoroso – coup de théâtre: il 3 ottobre prossimo è prevista la presentazione ufficiale a Milano, al teatro Manzoni, di un cortometraggio commissionato da Caprotti (della durata di 16-20 minuti, secondo le prime indiscrezioni) e diretto da Giuseppe Tornatore, premio Oscar nel 1989 per “Nuovo cinema Paradiso”. Titolo annunciato – ufficioso –: “Il mago di Esselunga”.
Ecco il testo della lettera di Caprotti, pubblicata sul Corriere della Sera di oggi:
Caro direttore,
dal Corriere di domenica scorsa vedo che la vicenda diventa politica e questo non mi piace. D’altronde lo è. Coop, Legacoop, eccetera, politica lo sono per decisione e scelta di Palmiro Togliatti, nel 1947 a Reggio Emilia. Per quanto riguarda la sentenza, il tribunale di Milano è stato forse clemente: non ha ammesso la diffamazione, ci ha condannato solo per concorrenza sleale. Io sono soltanto sleale, cioè «unfair», subdolo e tendenzioso.
Un niente, di questi tempi! quasi un gentiluomo. E per i danni subiti da Coop per questa sleale concorrenza ha accordato 300.000 euro invece dei 40 milioni richiesti!
Il libro «Falce e carrello». Il libro? Non si ordina neppure di bruciarlo sulle pubbliche piazze. Io, per quanto mi riguarda, vorrei però rimettere le cose nei termini appropriati. Quando mi si accusa di «attacco» – per non parlar del resto – si dice una bugia. Sono cose intime, esistenziali, ma perché non dirle? Nell’estate del 2004 sono stato gravemente ammalato e, stordito dal Contramal, un antidolorifico tremendo, caddi di notte in bagno e mi fratturai la colonna vertebrale. Inoltre quattro mesi prima mio figlio se ne era andato. Mio figlio non è mai stato scacciato, mio figlio non ha mai fatto nulla di male, semplicemente si era attorniato di una dirigenza non all’altezza. Per me il suo autonomo allontanamento è stato un grande dolore. Ricordo quell’autunno 2004, come un periodo tristissimo, di grande sofferenza e di estrema debolezza.
È in questo 2004 e nell’anno seguente che, nella mia defaillance, fui oggetto di una vera e propria aggressione.
Le dichiarazioni ai giornali di Aldo Soldi, presidente di Ancc (Coop), che voleva Esselunga, si susseguivano. L’amministratore delegato di una grande banca, tuttora in carica, venne due volte, «dica lei la cifra, la paghiamo in settimana, al resto pensiamo noi». Poi il prestigioso studio legale, per conto dichiaratamente di Unipol. Sono solo due esempi. Finché l’allora presidente del Consiglio, Romano Prodi, dichiarò in televisione che occorreva mettere assieme Coop con Esselunga.
In quale modo, non disse.
Questo sì che fu l’«attacco» che ci costrinse a fare chiarezza sui giornali! Vorrei poi che qualcuno mi spiegasse come si può «tenere insieme» e condurre un’azienda in queste condizioni. È da tutto ciò che nasce, in sintesi, «Falce e Carrello»! Io avvertii Soldi, poiché la mia educazione ottocentesca a ciò mi impegnava. Ma intendevo solo raccontare alcuni episodi vissuti, documentati, oserei dire, sofferti.
Cioè denunciare qualche «stravaganza», chiamiamola così, di quel sistema. Però, evidentemente, ho commesso un errore e me ne scuso: infatti è stato interpretato come un «attacco» al più grande Istituto Benefico del Mondo, una Istituzione che ha un milione di dipendenti, quando la Croce Rossa Internazionale ne ha soltanto 12.500.
Mi sono così tirato addosso sette cause, che mi sembra possano bastare.
Tutto qua. Io non concepisco questa Italia di destra o di sinistra. Ho amici a sinistra, come certamente ne ho a destra. Sono stato educato nel credo della libertà e nel rispetto del prossimo.
Bernardo Caprotti