Quasi tre lustri. A tanto ammonta, secondo le stime di Confcommercio, il balzo indietro che la nostra economia ha fatto da quando è entrata in crisi. I consumi sono tornati al livello del ’98 e il Pil a quello del ’99. E il peggio deve ancora venire: “Nel 2013 – ha avvertito Carlo Sangalli, presidente dell’associazione – raggiungeremo il punto più basso, con una perdita dei consumi pro capite del 7,4%, che equivalgono a 1.023 euro di spesa in meno, a testa, ogni anno”. Anche l’Istat ha messo nero su bianco la frenata del Pil: è cresciuto di un modestissimo 0,5% nel 2011 rispetto all’1,8% dell’anno precedente. Non solo, le importazioni sono calate del 2,5% e l’export è stazionario. In questo scenario dalle tinte fosche, non stupisce che anche i consumatori tirino i remi in barca. Le ultime rilevazioni del Nielsen Featured Insights parlano di un indice di fiducia, a marzo, al di sotto della media degli ultimi 12 mesi e il barometro Crif della domanda di prestiti da parte delle famiglie ha registrato un tonfo del 17% a febbraio 2012 rispetto allo stesso periodo del 2011. “Spesso mi chiedono un commento generico sull’andamento economico italiano – ha spiegato Gaetano Miccichè, direttore generale di IntesaSanPaolo durante il convegno Ibc dello scorso marzo, a Milano –. La risposta è che i commenti generici oggi non hanno più alcun senso: in questo momento di forte discontinuità ci sono imprese che hanno gravi difficoltà, ma anche imprese che vanno benissimo, che hanno saputo trarre dalla crisi lo stimolo per diventare più innovative e competitive e che oggi raccolgono i frutti dei loro investimenti”. Non tutti i consumi calano, infatti. Vincono quelli che hanno un valore aggiunto così forte e distintivo da diventare irrinunciabile, come i tablets, che infatti crescono a tre cifre. Nell’ambito del largo consumo, Nielsen segnala un vero e proprio boom di alcuni ‘prodotti rifugio’ ancora in grado di regalare a chi li acquista un piccolo piacere: si tratta di referenze capaci di gratificare e quasi risarcire dei tanti sacrifici che la crisi impone. I best seller di questa spesa ‘consolatoria’, solo per restare in ambito alimentare, vanno dalle carni elaborate di suino (+26,9%) al latte fresco arricchito (+88,3%), dai sughi pronti e surgelati (+29%) alle patatine aromatizzate (+24,7%) passando per integratori e crusche (+31%). E dal palcoscenico del Vinitaly arriva la conferma che a crescere non sono più solo le etichette sotto i tre euro, ma anche – e soprattutto – quelle superiori ai cinque. Il fil rouge che unisce questi item sta tutto, secondo Nielsen, nel comune vissuto emotivo che suscitano: sono prodotti che rendono più piacevole (o pratica) la convivialità domestica (visto che uscire a mangiare è diventato per molti un lusso inaccessibile), ma anche che procurano benessere: in un mondo pieno di incognite, fare qualcosa in più per restare in forma diventa un imperativo categorico. Stesso discorso, ovviamente, vale per i punti vendita. La distribuzione è in crisi? C’è anche chi cresce e rilancia. Un esempio per tutti è quello di Sigma, che ha recentemente festeggiato a Bologna i suoi primi 50 anni di storia. Oltre ai già soddisfacenti risultati del 2011 (chiuso in crescita del 2,8%), la catena ha messo a segno una straordinaria performance nel primo bimestre dell’annus horribilis 2012: è stato il primo retailer in Italia per incremento di fatturato a parità di rete, realizzando un +8% rispetto allo stesso periodo del 2011. Il suo segreto? Un mix di qualità e servizio, unito a una grande capacità innovativa nella relazione con i fornitori. Alla kermesse bolognese ho sentito parlare poco di prezzi e moltissimo di creazione di valore per gli stakeholder. Al punto che sta per essere lanciato un nuovo format di cash&carry, pensato proprio per rivoluzionare il mercato degli operatori professionali, attraverso una personalizzazione molto spinta dell’offerta. Rispetto a questi casi di eccellenza, che fanno riflettere su come sia possibile crescere anche in momenti economicamente travagliati, vale la pena riproporre una riflessione che Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, accenna spesso nei pubblici dibattiti, ma che non ha ancora avuto l’attenzione che a nostro avviso meriterebbe. “Se oggi ci troviamo nella situazione di avere prezzi tedeschi con tasse e stipendi italiani – sostiene Giovannini – significa che abbiamo un grosso problema di funzionamento del mercato. E questo problema si lega a filo doppio a quello dell’evasione fiscale, che non va vista solo come un’emergenza finanziaria, ma anche e soprattutto come un allarme produttivo e competitivo. Grazie all’alta quota di economia sommersa, sopravvivono sul mercato operatori che dovrebbero uscirne, facendo spazio a imprese con maggiori capacità innovative”. Facciamo nostro l’auspicio di Giovannini che i legislatori cambino inquadratura al problema dell’evasione, allargando il focus dal danno erariale al gap competitivo. Se vogliamo che le imprese eccellenti non siano più mosche bianche, bisogna liberare il campo dai parassiti. Con qualche spot in meno e qualche azione concreta in più. Maria Cristina Alfieri
Meno evasione per competere meglio
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