Ai sensi della normativa sul marchio comunitario, il marchio può essere escluso dalla registrazione se – a causa dell’identità o somiglianza con il marchio anteriore e dell’identità o somiglianza del prodotto o dei servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti – sussiste un rischio di confusione/associazione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato. La medesima condizione è posta a fondamento del giudizio di nullità e definisce l’ambito di protezione della registrazione di fronte alla contraffazione operata da terzi, secondo il diritto italiano (Codice della proprietà industriale).
Dottrina e giurisprudenza nazionale e comunitaria si sono dunque adoperati per stabilire i criteri per giungere a un ragionevole giudizio di confondibilità allorquando si procede al confronto tra due o più segni. A partire dalla valutazione di confondibilità, in astratto, fra i prodotti, avuto riguardo al pubblico di riferimento e alla loro tipologia (in riferimento alla loro classe di registrazione) e proseguendo nella comparazione dei segni a raffronto dal punto di vista visivo, fonetico e logico/concettuale, la giurisprudenza comunitaria ha affermato a più riprese il principio in base al quale “la valutazione globale del rischio di confusione deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei marchi, sull’impressione complessiva prodotta dagli stessi, in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti”.
La percezione dei marchi da parte del consumatore medio dei prodotti o dei servizi in questione svolge dunque un ruolo determinante nella valutazione globale del predetto rischio: a tale proposito si è stabilito che il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutt’uno e non effettua un esame dei singoli elementi. Riguardo al giudizio di confondibilità, la giurisprudenza italiana ha inoltre osservato che se i marchi sono debolmente distintivi, le differenze tra i segni acquistano maggiore importanza. Lievi differenziazioni, dunque, sono idonee a escludere qualsiasi profilo confusorio.
Occorre a questo punto osservare che nella valutazione dei rischio di confusione in base al suddetto principio, è presente una contraddizione: laddove si pretende la contemporanea esecuzione di un giudizio analitico e sintetico sui marchi, ovverossia, da un lato, la loro valutazione complessiva e dall’altro la considerazione dei singoli elementi di cui essi sono costituiti. Si pensi, in particolare al caso in cui uno dei marchi da confrontare sia un marchio complesso e cioè composto da vari elementi, sia denominativi, che figurativi. Tale contraddizione è stata evidenziata da molti commentatori professionali, i quali ne auspicano il superamento tramite un intervento giurisprudenziale che preveda che l’impatto complessivo dei due segni posti a raffronto debba essere preso in considerazione solo dopo aver valutato le componenti che li caratterizzano per effettiva capacità distintiva.
Sul concetto di confondibilità del marchio c’è da dire infine che la stessa va accertata con riferimento alla qualità dei prodotti venduti e che per quanto riguarda i prodotti alimentari, la destinazione alla medesima esigenza (alimentare) non rende affini prodotti differenti, destinati a soddisfare specifiche e non generiche richieste nutrizionali, che pervengono al consumatore attraverso filiere di mercato che ne escludono anch’esse la reciproca concorrenza (la Cassazione si è espressa in tal senso in ordine alla non affinità tra fagioli e patate e tra formaggi e salumi).
Avv. Gaetano Forte
www.avvocatogaetanoforte.it