Effetto aumento iva sui consumi food: -250 euro per famiglia

Effetto aumento iva sui consumi food: -250 euro per famiglia

I livelli della spesa pro capite di prodotti alimentari delle famiglie italiane sono tornati indietro ai valori della metà degli anni Ottanta, e continueranno ancora a ridursi sia nel 2012 che nel 2013. Lo afferma uno studio condotto da Ref.Ricerche per Centromarca e Federalimentare.
La contrazione della domanda a valle ha condizionato la performance di tutte le imprese che partecipano alla catena del valore: commercio, industria e agricoltura. L’industria alimentare è riuscita comunque a realizzare una crescita leggermente positiva, e migliore rispetto all’andamento dei consumi, grazie a una crescita delle esportazioni che ha sopravanzato quella delle importazioni. In ogni caso, il tentativo di sostenere l’andamento delle quote di mercato, accompagnato da un andamento crescente dei costi, soprattutto per l’acquisto di materie prime, ha portato a una drastica riduzione dei margini unitari delle imprese negli ultimi due anni.
Su questo contesto di difficoltà, si è innestata la nuova ondata recessiva iniziata nei mesi estivi del 2011 e ancora in corso. Il tentativo di stabilizzare le tendenze in atto sui mercati finanziari ha portato il Governo a varare una serie di misure a impatto sulla domanda. Fra i diversi interventi, si preannuncia dal prossimo ottobre la possibilità di un incremento delle aliquote dell’iva. La dimensione dell’intervento è significativa, con un obiettivo di gettito che supera i 13 miliardi di euro nel 2013. In particolare, entrerebbe in vigore l’aumento di due punti percentuali dell’aliquota intermedia e di quella ordinaria dell’iva (rispettivamente dal 10 al 12 e dal 21 al 23 per cento). Tale aumento diventerà permanente nel 2013 e sarà seguito da un ulteriore incremento di mezzo punto nel 2014, qualora entro settembre non siano stati approvati i provvedimenti di attuazione della delega fiscale o le modifiche ai regimi di esenzione e agevolazione fiscale tali da produrre il gettito atteso dalla delega.
Tra i prodotti colpiti dall’aumento dell’iva vi sono anche molti prodotti alimentari. Una quantificazione dell’effetto di tale intervento in una fase come quella attuale appare complessa, considerando che l’instabilità dei mercati finanziari sta contagiando l’economia reale. Lo studio di Ref.Ricerche ipotizza una traslazione completa, anche se non immediata, dell’aumento dell’Iva sui prezzi finali. Le conseguenze di tali rincari portano una riduzione dei consumi alimentari dello 0,6 per cento, e dello 0,9 per cento per i non alimentari. La contrazione della spesa risulta pari a 250 euro all’anno per famiglia, di cui 29 per la componente dei consumi alimentari e 220 per la componente dei non alimentari. La flessione del Pil che ne deriva è dello 0,5 per cento. Vengono persi oltre 100mila posti di lavoro.
L’iva sui prodotti alimentari comporta un aggiustamento della domanda interna significativo: colpendo i settori della ristorazione, del commercio, dell’industria alimentare e dell’agricoltura, su cui si concentrano due terzi delle perdite di prodotto derivanti dal rincaro dell’iva sui prodotti alimentari.
Peggio ancora se andrà in porto la cosiddetta ‘food tax’, ossia l’aumento della tassazione riferite ad alcuni specifici settori, i cui prodotti sono caratterizzati da un contenuto calorico elevato: bevande zuccherate, snack salati e comparto dolciario. Su questi prodotti verrebbe introdotta un’accisa. Quali effetti deriverebbero da un aumento delle accise tale da aumentare il gettito fiscale di 800 milioni di euro?
Le imprese si ritroverebbero di fatto a dover effettuare una completa traslazione dell’imposta: le conseguenze sui consumi sarebbero di tutto rilievo, considerando che l’elasticità della domanda al prezzo, già relativamente elevata per questi che non sono consumi obbligati, risulterebbe particolarmente alta in un contesto di domanda cedente. Lo studio ipotizza che l’elasticità sia superiore all’unità per il segmento del soft drink e per quello degli snack salati a fronte di un valore più contenuto per il dolciario.
Applicando le elasticità della domanda al prezzo si ottiene una stima della variazione delle quantità domandate dalle famiglie per ciascuna della tipologie di prodotti interessate dall’introduzione dell’accisa. A partire dalla contrazione della domanda consegue una flessione dei livelli di attività di tutti i settori che intervengono nella filiera: un intervento così congegnato potrebbe comportare una perdita di oltre 8mila posti di lavoro ripartiti nelle tre filiere. Gli effetti più marcati dovrebbero interessare soprattutto il settore della distribuzione e quello agricolo, oltre all’industria alimentare.
Alla flessione dei livelli occupazionali si aggiungerebbe un calo di circa 400 milioni di euro del pil dell’intera economia. La caduta del pil ha effetti evidentemente sul livello del deficit pubblico, con un peggioramento di circa 200 milioni concentrati prevalentemente dal lato delle entrate. Pertanto, la stima di un gettito aggiuntivo ex ante derivante dall’introduzione dell’accisa pari a quasi 800 milioni, non corrisponde al miglioramento effettivo dei conti pubblici, il cui beneficio netto risulterebbe inferiore ai 600 milioni di euro.

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