Pochi giorni fa ha aperto i battenti a Roma l’Eataly più grande del mondo. Uno spazio di 17mila mq su quattro piani all’interno dello scenografico ex airterminal di Roma Ostiense. Il fatto che più mi ha colpita negli articoli apparsi sui quotidiani che ne davano notizia, è stato che in tutti (tranne un’eccezione) il dato meno approfondito – quando non totalmente ignorato – fosse quello sul quale il padrone di casa, Oscar Farinetti, si era maggiormente soffermato durante la visita a porte chiuse che mi aveva fatto fare prima dell’apertura ufficiale. Ossia che questo monumento alla qualità del buon cibo italiano era dedicato alla bellezza. Un dettaglio, direte voi. Un particolare, avranno pensato i cronisti che l’hanno liquidato in poche righe. Con la bellezza non si mangia, ricordano gli economisti. E invece. E invece un imprenditore geniale capace di assumere in tempi di crisi 500 persone nell’arco di due mesi e di costruire un ‘lunapark del gusto’ che ha in previsione di fatturare tra i 50 e i 60 milioni di euro l’anno, in barba a recessione e calo dei consumi, è convinto che la bellezza del made in Italy salverà non solo i suoi conti, ma anche quelli dell’Italia intera. Ne è talmente convinto da avermi confessato, candidamente, che il suo primo obiettivo non è quello di vendere cibo, ma di ‘vendere’ appunto, il bello che sta intorno al concetto di cibo e che è fatto di ristorazione, degustazioni, show cooking, eventi, seminari, mostre e convegni. “Vendere e basta non fa parte del nostro dna – mi ha detto -. Sembrerà strano, ma quando racconto la filosofia che sta dietro il modello Eataly, concludo sempre dicendo: ‘Infine cercheremo anche di vendere un po’ di cibo’! La vendita rappresenta il 60% del nostro giro d’affari: il restante 40 si suddivide tra ristorazione e attività didattiche”.
Questa mission di educare alla bellezza mi ha fatto pensare a un altro imprenditore illuminato – peraltro celebrato con una foto proprio all’interno di Eataly Roma – che si è prodigato per far sì che i prodotti industriali, nati per essere meri strumenti d’uso, diventassero anche qualcosa di bello.
“La bellezza – dichiarava Adriano Olivetti in un’intervista realizzata per la Rai nel febbraio del 1960 e recentemente ripresa sulle colonne de La Repubblica – è un momento essenziale dello spirito. Senza l’esperienza della bellezza un uomo non sarebbe completo. Ora, anche una macchina da scrivere può essere bella”. Tantopiù il cibo, sembra aggiungere Farinetti, con quell’enorme valore simbolico e culturale che gli ruota intorno. Basta saperlo esprimere, cogliere, insegnare.
Ma in che modo lo si può fare oggi, all’interno di punti vendita magari molto più piccoli e meno scenografici di Eataly Roma? Una risposta davvero efficace l’abbiamo raccolta durante l’ultima convention Sigma che si è tenuta in Sardegna lo scorso giugno, chiamando a raccolta i soci di una catena che chiuderà l’anno con una crescita di fatturato del 3,2 per cento. Ricordando proprio come sia necessario offrire ai clienti un’esperienza d’acquisto che vada ben al di là della semplice vendita di generi alimentari, Davide Cozzarolo, direttore commerciale e marketing del gruppo, ha portato l’esempio curioso del gestore di un negozio alimentare a San Vittore Olona (Mi) – Alimentari Agrati – che per fidelizzare un cliente sempre più provato dalla crisi economica, si è ‘inventato’ un servizio di ristorazione tra gli scaffali del suo punto vendita. A pranzo e cena, come per magia, compaiono tavoli e sedie tra una parete di biscotti e una di pasta secca e il cliente può gustare i cibi, cucinati dal gestore in un grande forno installato ad hoc, che si è scelto tra le corsie, dai formaggi presi al banco del fresco a vini, prelevati direttamente dal lineare. A vincere, in questo caso non è la location, il design degli arredi, la grande metratura, ma la capacità di declinare bene il concetto che il primo obiettivo di un retailer oggi non è e non deve essere vendere cibo, ma, come sostiene Farinetti, ‘vendere’ una relazione e un’esperienza costruite intorno al ‘bello del cibo’. Nell’epoca dove trionfa la cultura del digitale e del contatto virtuale, non bisogna dimenticare, come ha ben ricordato Enrico Finzi, presidente di AstraRicerche, che nei Paesi della cultura mediterranea come il nostro, la chiave di successo di qualsiasi esercizio commerciale (lo dimostrano i sondaggi sui consumatori) si lega a filo doppio con la capacità di relazione empatica dei suoi gestori, con le emozioni (tutte fisiche) che sa trasmettere. Alimentari Agrati docet.
Maria Cristina Alfieri
La bellezza del cibo
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