Il d.lgs. 231/2001, mettendo in discussione il fondamentale principio dell’impossibilità a delinquere delle società, ha previsto che determinati reati, specificatamente indicati nel decreto stesso (i cosiddetti “reati presupposto”), qualora siano commessi da soggetti apicali o sottoposti, nell’interesse o a vantaggio dell’azienda, determinano la diretta e concorrente responsabilità dell’ente stesso.
Tale responsabilità presuppone, quindi, la contemporanea presenza di tre elementi:
1) la commissione di un reato “nominato” e presente tra quelli indicati nel d.lvo 231/2001;
2) che il reato sia commesso da persone che rivestono funzioni cosiddette ‘apicali’ (rappresentanza, amministrazione direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia) o da persone sottoposte alla loro direzione o vigilanza.
3) che la commissione del reato non miri al raggiungimento di un egoistico vantaggio del soggetto agente ma, al contrario, sia commesso nell’ottica di un interesse o vantaggi aziendale.
Si tratta di una responsabilità penale nel senso che il suo accertamento avviene in sede penale secondo la procedura che disciplina il processo penale, e amministrativa dal punto di vista sanzionatorio. Su questo versante deve essere rilevato che le ripercussioni possono essere gravi e rilevanti.
A carico dell’ente, infatti, sono previste onerose sanzioni pecuniarie (applicate sulla base del sistema delle quote) e paralizzanti provvedimenti interdittivi, quali la sospensione o la revoca di autorizzazioni, licenze, ecc, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti ecc.
Tra i reati presupposto che maggiormente possono coinvolgere l’azienda alimentare, spiccano quelli contro l’industria e il commercio: da pochi anni sono inclusi tra quelli che, oltre alla persona fisica autrice dell’illecito, possono determinare un coinvolgimento dell’ente.
La novità è stata introdotta con la legge 23 luglio 2009 n° 99 (G.U. 31.07.2009): “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia.”. Si tratta di un'”incursione” ferragostana (analoga a quella che portò l’estensione della responsabilità amministrativa degli enti agli infortuni sul lavoro nel 2007), che impone a tutti gli operatori del settore di prendere in seria considerane la predisposizione dei cosiddetti Modelli 231.
Per la commissione del reato di frode in commercio la sanzione a carico dell’azienda può arrivare fino a 500 quote (ovvero fino a 774.500 euro).
Il reato è stato per esempio contestato in caso di indebita evocazione di una dop/igp relativa a prodotti che non beneficiano di detta protezione; la consegna all’acquirente di formaggio caprino che dalle analisi rivelava la presenza di latte di mucca, vanto di italianità per un latte in realtà contenente anche un quota parte di latte straniero, uso di claims non corrispondenti alle caratteristiche effettive del prodotto e così via.
Per andare esente da responsabilità in relazione a questi e agli altri reati previsti dal d.lvo 231/2001 l’ente può beneficiare di una “esimente” provando di avere adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi.
Il modello dovrà inoltre coniugarsi con l’attività di un organismo di vigilanza deputato a verificarne l’attuazione e con un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello stesso.
Per i reati di frode, le procedure di gestione e controllo del rischio riguarderanno l’intera filiera produttiva e si dovranno raccordare con quelle previste dalla specifica normativa di settore, in primis rintracciabilità e haccp.
Avv. Gaetano Forte
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