Si fa sempre più serrata la protesta delle imprese agroalimentari in merito all’applicazione dell’articolo 62 e ai suoi effetti sull’operatività di una pmi produttrice del food & beverage.
A tale proposito, a foodweb.it è pervenuta una lettera aperta di un imprenditore piemontese, che riassume ed esemplifica con concretezza e chiarezza le problematiche insorte all’interno delle aziende in seguito all’entrata in vigore del suddetto articolo a partire dal 24 ottobre.
La pubblichiamo con l’intento di contribuire al dibattito in corso e, soprattutto, a una revisione della norma dell’articolo 62: tanto più che il prossimo 1° gennaio 2013 entrerà in applicazione la direttiva Ue 7/2011 sulla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (di cui è già stato pubblicato il decreto ministeriale attuativo 9 novembre 2012, n. 192), che comporterà un’armonizzazione delle regole stabilite nell’articolo 62 e – ci auguriamo – una loro riformulazione più attenta alle esigenze reali delle pmi.
Egregia redazione di foodweb.it,
l’art. 62 del dl 24 gennaio 2012 parte da tre principi di base:
1. forma scritta degli accordi che regolano gli scambi di beni alimentari e agroalimentari, con la richiesta di alcuni elementi necessari, che avvengono sul territorio dello Stato Italiano;
2. termini massimi di pagamento:
a) 30 giorni per le merci deperibili e tutti i tipi di latte
b) 60 giorni per le merci non deperibili;
3. divieto di pratiche sleali.
Fin qui tutto bene: ma andando più in dettaglio, le questioni toccate si fanno più problematiche:
FORMA SCRITTA
Anzitutto, soprattutto nel piccolo, non c’è l’abitudine a inoltrare ordini in forma scritta: moltissimi telefonano e dettano l’ordine. Stiamo cercando di far entrare nell’ordine di idee i nostri clienti, ma molti si rifiutano di firmare i contratti, lamentandosi che “hanno sempre fatto così. Perché oggi DEVONO firmare”? Perché c’è l’art. 62! E non gliene frega nulla.
Se possibile, il dm 19 ottobre 2012 – che avrebbe dovuto dirimere buona parte delle questioni – ha creato ancora più confusione.
Per esempio, proprio in merito alla firma, l’art. 3 al comma 1 riporta che
[…] “per ‘forma scritta’ s’intende qualsiasi forma di comunicazione scritta, anche trasmessa in forma elettronica o a mezzo telefax, avente funzione di manifestare la volontà delle parti di costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale avente a oggetto le cessioni dei prodotti di cui all’art. 2, lettere a) e b).”
Da questo testo, parrebbe che basterebbe una semplice e-mail da parte del mio cliente, che mi dice di preparargli tot chilogrammi di merce a tot euro per pagamento concordato e consegna stabilita: e il gioco è fatto, senza troppa carta e senza troppe manfrine.
Invece no, perché lo stesso articolo, al comma 5 riporta:
“La superfluità della sottoscrizione può affermarsi solo in presenza di situazioni qualificabili equipollenti all’apposizione della firma, idonee a dimostrare in modo inequivoco la riferibilità del documento scritto a un determinato soggetto”.
Ciò vuol dire che:
1. mezzi non certificati:
a. posta ordinaria: io invio il contratto timbrato e firmato, il cliente timbra e firma e mi rimanda per posta ordinaria (o viceversa);
b. per e-mail: io stampo il contratto, lo timbro e firmo, faccio la scansione e lo mando al cliente, che lo stampa, timbra e firma, lo scansiona nuovamente e me lo manda indietro (o viceversa);
c. per fax: lo stampo, timbro e firmo e lo spedisco a mezzo fax, il cliente che lo riceve lo timbra e firma e me lo rimanda indietro a mezzo fax (o viceversa);
2. mezzi certificati:
a. Pec (Posta elettronica certificata): allego il contratto alla Pec, il cliente mi risponde “contratto n. XXX/YY accettato” a mezzo Pec;
b. firma il documento con firma elettronica;
c. ci scambiamo la documentazione tramite sistema Edi, che però non ha uno standard ed è molto costoso e quindi non lo usa nessuno
3. la via classica: ci s’incontra e lo firmiamo in originale.
Quindi non è così banale.
Implicazioni: se manca anche solo un elemento essenziale, c’è un vizio di forma, un’inesattezza (per esempio: valido fino al 15/10/2012 e viene firmato il 18/10/2012) o altro che possa pregiudicare l’integrità del contratto, questo è NULLO.
Di conseguenza tutto ciò che segue (ddt-documento di trasporto, fattura, consegna, pagamento e termini …) si basano su un documento originario nullo e sono a loro volta nulli! Cosa significa? Che se fino a ieri avevo un ddt firmato allo scarico e la fattura relativa, valeva il principio del “comportamento concludente”: quindi potevo andare dal giudice e farmi le mie ragioni nel caso in cui il cliente non avesse pagato nei termini.
Oggi, se il contratto è nullo, il giudice mi ride in faccia perché non posso farmi le mie ragioni in quanto la consegna e l’addebito sono avvenuti in seguito a un contratto nullo! L’unica difesa che ho è di rivolgermi al tribunale civile e intentare una causa per “ingiusto arricchimento” nei confronti del mio cliente. Minimo 5-6 anni + spese legali + costo dell’avvocato + nervoso e maldipancia …
Se manca del tutto la forma scritta, sono multe da 516 a 20.000 euro.
TERMINI DI PAGAMENTO
Qui si comincia a entrare nel bello.
I 30 o 60 giorni come vengono calcolati?
dm. 19 ottobre 2012 Art. 5 comma 1
“I termini di pagamento decorrono dall’ultimo giorno del mese di ricevimento della fattura”.
Ciò implica, anzitutto, che abbia certezza della data di ricevimento del documento da parte del mio cliente: quindi devo inviare la fattura o a mezzo Pec, se anche il mio cliente ha la Pec (ma sono obbligati ad averla unicamente le società, non le ditte individuali, fino al 31/12/2013: dopodiché anche queste ultime dovranno averla), oppure tramite raccomandata A/R, al costo di circa 4,40 euro (a seconda del peso del contenuto della busta) a invio.
Poi, una volta che si ha il dato bisogna gestirlo: cioè chiedere una modifica del gestionale al proprio fornitore di prodotti informatici in modo che al documento venga aggiunto il campo “data ricevimento fattura” e sia creato un nuovo algoritmo di calcolo per le nuove scadenze. Inoltre, per ogni documento, l’operatore deve richiamare il documento e inserire il dato.
Perché un nuovo algoritmo di calcolo delle scadenze? Perché non è un banale 60 fine mese, ma è: data ricevimento fattura, fine mese + 30/60 giorni (di calendario).
Esempio:
pagamento 60 giorni fine mese, con data ricevimento fattura il 15 ottobre 2012.
Scadenza = 31/12/2012
Pagamento 60 giorni secondo l’Art. 62: prima porto a fine mese, quindi 31 ottobre, poi aggiungo 30 giorni di novembre e 30 giorni di dicembre, quindi scadenza 30 dicembre.
Per un giorno tutto questo casino? Si!
Perché il comma 3 dell’art. 62 d.l. 24/01/2012 riporta
[…] “Gli interessi decorrono automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine” […]
Quindi la messa in mora è ex-lege, senza bisogno né di comunicazioni, né di azioni per costituire in mora.
[…] “In questi casi il saggio degli interessi è maggiorato di ulteriori due punti percentuali ed è inderogabile”.
Un rapido calcolo: 1% tasso di riferimento per interessi di mora + 7% sanzione per interessi di mora + 2% maggiorazione previsto dall’Art. 62 = 10%
Ma la chicca è che il comma 7 prevede che
[…] “Il mancato rispetto, da parte del debitore, dei termini di pagamento stabiliti dal comma 3 è punto con la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 euro a euro 500.000”.
Quindi per 1 giorno si rischia l’interesse del 10% e la sanzione fino a 500.000 euro!
Anche dalla parte del fornitore la situazione non è tutta rose e fiori: perché gli interessi mi verranno pagati a seguito di fatturazione, altrimenti come fa a giustificare il bonifico il mio cliente? Ma fin quando non me li paga, come faccio a sapere quando me li ha pagati e, quindi, quanti giorni di ritardo ha avuto e, quindi, a calcolarli?
Inoltre io posso chiedere gli interessi al mio cliente (non devo), ma ciò comporta che:
1. si rischia di ricadere nelle pratiche sleali
2. comunque, anche se non li fatturo e non li percepisco, dato che per lo Stato esiste una legge che mette automaticamente in mora il mio cliente, per lo Stato mi sono dovuti e quindi concorrono a formare l’imponibile fiscale sul quale pagare le tasse
Infine, un ultimo appunto: gli interessi di mora si prescrivono in 5 anni … se non mi pagano per tempo le fatture, figurati se non hanno la pazienza (soprattutto la grande distribuzione) di aspettare 5 anni e lasciare che cadano in prescrizione!
PRATICHE SLEALI
Qui si apre un mondo infinito: non mi ci metto nemmeno ad affrontarle.
ALTRE CONSIDERAZIONI
Il dm 19 ottobre 2012, all’art. 1 recita
[…] “Esso si applica ai contratti […] e alle relazioni commerciali in materia di cessioni di prodotti agricoli e alimentari, la cui consegna avviene nel territorio della Repubblica Italiana”[…]
Quindi: se la consegna della merce con un cliente straniero avviene alla partenza oppure presso un sito che si trova in Italia (es. un belga che fa consegnare le merci dei fornitori italiani a un trasportatore di Milano, che poi colletta il tutto e lo spedisce a destino all’estero), allora l’art. 62 trova applicazione; se la consegna è franco destino o presso un sito di raccolta all’estero, allora l’art. 62 non si applica.
In merito alle scadenze:
1. quelle indicate sono quelle massime consentite dalla legge, ma le parti possono concordare anche termini inferiori. Ovvio che i clienti che avevano precedentemente dei termini più lunghi hanno richiesto l’applicazione del termine maggiore.
Essendo possibile effettuare una fatturazione riepilogativa di fine mese e facendo fede la data di ricevimento fattura, non sono tardate le richieste da parte di numerosi clienti di effettuare la fatturazione riepilogativa con consegna del documento non prima del primo giorno del mese successivo. Così può accadere che per merce ordinata a fine marzo, consegnata al primo di aprile, fatturata a fine aprile con fattura spedita ai primi di maggio, il pagamento fine mese porta al 31 maggio + 60 giorni, per cui la scadenza cade il 30 luglio, quindi in totale: 122 giorni di calendario!
2. non sarebbe stato più semplice e meno oneroso calcolare le scadenze Data Fattura + Fine Mese, come si è sempre fatto in commercio senza complicare ulteriormente la vita agli operatori?
Il comparto agroalimentare italiano continua a esprimere un buon potenziale, nonostante il momento di grave crisi economica che stiamo vivendo.
Il problema a cui si è cercato di porre freno è quello dell’abuso di posizione dominante della grande distribuzione. Peccato che scegliendo di scrivere un testo ex-novo che disciplinasse l’intero settore stia imponendo a ogni operatore una burocratizzazione mastodontica.
Lo stesso dm 19 ottobre cita all’art. 5 comma 5
“Con riferimento alla cessione di prodotto alcolici è fatto salvo quanto previsto dall’art. 22 della legge 18 febbraio 1999 n. 28 e s.m.i.”.
Cito:
Art. 22.
(Termine per il pagamento dei corrispettivi relativi alla cessione dei prodotti alcolici).
1. Per le cessioni di prodotti alcolici di cui all’articolo 27, comma 1, del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, approvato con decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, a soggetti autorizzati ad immetterli in consumo, i corrispettivi devono essere versati entro sessanta giorni dal momento della consegna o ritiro dei beni medesimi.
Cosa vuol dire? Che si applica unicamente ai soggetti che immettono al consumo i beni oggetto della norma, quindi unicamente agli operatori della distribuzione al dettaglio!
Sarebbe stato tanto difficile prendere spunto da qui per limitare a quel settore la norma?
Ma anche limitare a un valore minimo di transazione sarebbe stato quantomeno ragionevole: quanto mi costa mettere in piedi tutto questo ambaradan burocratico per transazioni che magari nemmeno raggiungono i 1.000 euro?
E in termini di sanzioni: perché essere tanto rigidi nell’applicazione delle sanzioni appena uno sgarra? Se un cliente non vuole pagare, cerca di tirare più a lungo possibile. Se un cliente mi paga con 10-15 giorni di ritardo, è perché ha avuto delle difficoltà e ha saldato appena ha potuto e ci tiene al proprio buon nome e rispettabilità.
Quindi: se mi paghi con ritardo di 10-15 giorni e nel bonifico mi aggiungi al totale della fattura anche gli interessi per i giorni di ritardato pagamento, la cosa deve finire automaticamente.
Che già sono al 10% e, nonostante la prassi bancaria attuale, è comunque ancora antieconomico pagare in ritardo.
Se invece ritardi più a lungo o non mi riconosci di tua spontanea volontà gli interessi, allora è giusto che intervenga lo Stato (per esempio: in Francia nei Comuni ci sono degli appositi uffici presso i quali depositare le fatture, anche di privati, dove esiste un responsabile che verifica il pagamento entro i termini e in caso interviene d’ufficio).
In un momento di forte crisi di liquidità delle imprese, mi scappa da ridere a pensare a quanti per 1 giorno o 2 rischiano le multe.
Infine, la poca chiarezza: troppe cose sono lasciate a dubbia interpretazione. Non è che questa legge è in realtà un “multificio”? (ossia una fabbrica di multe: neologismo di mia invenzione).
PROPOSTA CORRETTIVA
Tramite l’Unione industriali di Cuneo (e anche nel corso di un incontro tenutosi presso l’Unione industriali di Torino) ho provato a proporre un periodo in cui venga prevista una specie di “condizionale”: per i primi 6 mesi (ma potrebbero essere 9 o 12), la legge entra in vigore (infatti non è possibile richiederne uno slittamento in quanto già è stata prorogata dal 24 gennaio al 24 ottobre), i controlli vengono effettuati e le sanzioni comminate, ma sono sospese con la condizionale.
Se nell’arco dei successivi 12 mesi, in seguito a ulteriore controllo, si viene colti nuovamente in fallo, allora scatta l’ammenda sia per la prima che per la seconda infrazione.
Mi fermo qui, ma di cose da dire in proposito ce ne sarebbero ancora a bizzeffe.
Fabio Canova
La Gentile srl
Cortemilia (Cn)