Riflettendo sui profondi cambiamenti che la crisi economica ha prodotto nel mondo dei consumi, c’è una curiosa contrapposizione che balza subito all’occhio: da un lato il radicale mutamento del consumatore e, dall’altro, la sostanziale stasi (salvo illuminate eccezioni) dei punti vendita in cui si va a fare la spesa. Quasi del tutto indifferenti alle innumerevoli indagini che ricostruivano l’identikit del nuovo shopper – molto più critico, complesso, informato ed esigente – i retailer hanno investito gran parte delle loro energie nella messa a punto di politiche promozionali che, ironia della sorte, più crescevano in intensità più perdevano di efficacia. Risultato: secondo i più recenti rilevamenti Nielsen, nonostante nell’ultimo anno sia cresciuto il numero di articoli offerti in promozione (+0,4%), le vendite a valore dei beni di largo consumo sono scese del 2,2% e sono in calo di tre punti percentuali coloro che cercano attivamente prodotti scontati. Non solo. Il 30% degli italiani compra meno in assoluto e il 54% dichiara di limitarsi ormai ad acquistare solo ciò che è strettamente necessario, limando il superfluo. Insomma, i segnali che il consumatore si sia ormai smarcato dagli abbagli promozionali sono più che evidenti: la convenienza nell’acquisto è diventata un prerequisito preteso dal punto vendita di fiducia che deve, a questo punto, fare un passo in più. In che direzione? Qualcuno ha azzardato l’ipotesi di reinventare il concetto di ‘offerta speciale’ tagliandola su misura per diversi target di clienti: anziché offrire sempre gli stessi sconti a tutti, uno stesso prodotto potrebbe riservare uno sconto importante a chi lo acquista abitualmente e un taglio prezzo più contenuto a chi non lo compra quasi mai (ovviamente le carte fedeltà fornirebbero le informazioni necessarie a inviare agli utenti sconti ad hoc). Il risultato sarebbe un punto vendita pieno di offerte personalizzate, ma anche fortemente discriminante: alla cassa potrebbero incrociarsi due consumatori che finirebbero per pagare un prezzo diverso per prodotti uguali e la conseguente insoddisfazione di uno dei due sarebbe inevitabile. In che direzione procedere, quindi? Forse bisognerebbe cambiare obiettivo e anziché riflettere sulla personalizzazione (discriminante) delle promozioni, provare a interrogarsi sulla specializzazione (democratica) dei punti vendita. Se non è possibile offrire lo stesso prodotto con prezzi differenti a due consumatori diversi è però possibile progettare ‘contenitori d’acquisto’ differenziati a seconda del target di riferimento: lo scrive con chiarezza e lo declina in decine di case history l’architetto Roberta Panza, autrice di un interessante ‘Manuale di progettazione per la grande distribuzione’ (Franco Angeli editore). “Un tempo era corretto e plausibile pensare a un supermercato generico, adatto per tutti – scrive Panza -. Oggi invece, paradossalmente, bisognerebbe pensare a un tipo diverso di supermercato per ogni genere di consumatore. Come dire, a ognuno il suo supermercato, dal punto vendita in stile retrò per i patiti del vintage (lo ha fatto Tesco nel 2001 in occasione del Goodwood Revival, festival inglese di auto storiche, ndr) alla superette di montagna (come il Carrefour Montagne nella stazione sciistica di Les Ménuires, sulle Alpi Francesi, ndr)”. Una provocazione, certamente. Ma che può indicare un percorso da seguire e segnalare un ‘problema’: oggi i punti vendita, nella loro maggioranza, continuano a venire progettati e proposti seguendo sempre gli stessi percorsi, la stessa suddivisione tra categorie merceologiche, gli stessi scaffali che presentano la merce sempre nello stesso modo: “viene spontaneo chiedersi – annota Panza – se il supermercato sia un organismo funzionale e perfetto da non poter essere contaminato dalle variazioni, al punto da porsi come un ‘classico’ dell’era contemporanea. O forse, muovendo dalla consapevolezza che ci troviamo in un momento di radicale trasformazione, dobbiamo prepararci ad abbandonare una formula fin troppo consolidata?”. Visto l’andamento del mercato e la disaffezione dei consumatori, forse qualche tentativo di cambiamento varrebbe la pena metterlo in atto, magari ispirandosi a casi di successo già realizzati all’estero. Tra i tanti riportati nel saggio di Panza, vale la pena ricordarne alcuni che potrebbero essere facilmente importati. Come il supermercato della terza età realizzato in Austria nel 2004 dal gruppo tedesco Edeka: un format concepito per clienti dai 65 anni in su, che in negozio possono trovare lenti di ingrandimento per leggere le etichette dei prodotti, speciali carrelli che si trasformano in sedute per far accomodare chi si sente stanco, un’offerta molto ampia di prodotti salutari e di attrezzature mediche, panchine per la sosta e una stanza relax, musica classica e illuminazione più forte, corsie più spaziose e scaffali più bassi. Un esperimento che ha portato risultati importanti: in tre anni il supermercato per senior ha aumentato le vendite del 25% e ha ispirato diversi progetti analoghi in altre parti del mondo, da un punto vendita Tesco costruito a New Castle allo store ‘Il nonno e la nonna’ aperto ad Hanoi nel 2012. Considerati i quasi 12 milioni di over 65 presenti in Italia oggi (e in progressivo aumento), potrebbe risultare un format vincente anche da noi. Così come il suo opposto, il supermercato giovane, sul modello delle superette Daily Monoprix, un format a metà tra il bar e il supermercato con pareti color rosa confetto e vasi di caramelle utilizzati come lampade, un assortimento ricco di prodotti take away e aree per la lavorazione a vista del cibo, proprio come accade nei nostri Eataly, in modo da trasformare il negozio in un lunapark del gusto. Non mancano all’appello dei nuovi format l’ormai celebre supermercato digitale di Tesco in Corea e quello ecosostenibile di San Francisco, dove gli impiegati lavorano a turno nelle fattorie produttrici, apprendendo direttamente le tecniche di coltivazione, per offrire ai clienti una proposta commerciale documentata e sempre più garantita. Entrambi finalizzati a soddisfare la domanda di altri due target in crescita, quello dei consumatori digitali e quello degli ecoattenti, categorie che non di rado finiscono per coincidere, visto che Internet è da sempre la migliore alleata e il più efficace volano della green economy. Insomma le vie per la diversificazione sono, quasi, infinite. E sono percorribili, perché altrove qualcuno le ha già calcate con successo. Prima di scommettere tutto sulla rischiosa ruota delle promozioni, non varrebbe la pena puntare una fiche anche sulla carta dei nuovi format? Maria Cristina Alfieri
E se provassimo a differenziare?
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