Sui trend di consumo delle famiglie italiane e sui programmi di espansione nell’Europa dell’Est e del Nord per la private label premium Fiorfiore di specialità italiane tipiche si focalizza l’intervista per foodweb.it di Domenico Apicella a Enrico Migliavacca, vicepresidente vicario Ancc-Coop, che ha illustrato il 5 settembre scorso a Milano il Rapporto Coop 2013 “Consumi & distribuzione” redatto dall’ufficio studi di Ancc-Coop con la collaborazione scientifica di Ref. Ricerche e il supporto d’analisi di Nielsen.
C’era una volta il Bel Paese
Il quadro complessivo dei bilanci delle famiglie italiane non induce a un facile ottimismo: la diminuzione del reddito disponibile reale nell’arco di appena sei anni ha superato il 10% (-10,2%), frutto della morsa contrapposta fra salari e stipendi fermi e fiscalità arrivata nel 2012 al valore massimo degli ultimi trent’anni, la disoccupazione è alle stelle (ha toccato il 12% nei primi mesi del 2013, ai massimi dal 1977) e sono soprattutto i più giovani sotto i 18 anni di età a rischiare l’esclusione sociale. Peggio di noi in Europa solo i teenager bulgari, rumeni, ungheresi e le piccole repubbliche del Baltico, meglio di noi persino i greci e gli spagnoli. Come negli altri Paesi della periferia europea, la contrazione sulle capacità di consumo è stata violenta e continua. Se nel Centro Europa i consumi hanno di nuovo superato i livelli pre-crisi, in Italia l’81% della popolazione (ma era il 69% appena due anni fa) dichiara di aver cambiato le proprie abitudini di consumo per risparmiare sulla spesa. La media europea non supera il 63 per cento.
Non solo: già oggi sono 3 milioni le famiglie (il 12,3%) che non riescono a permettersi un pasto proteico adeguato ogni 2 giorni, con un’incidenza del disagio alimentare soprattutto fra anziani, disoccupati, famiglie numerose e residenti nelle regioni del Sud.
Chi guadagna e chi perde
Il calo di spesa degli italiani ha avuto ripercussioni sia sul commercio al dettaglio che sulla gdo determinando cambiamenti strutturali delle rispettive reti di vendita. Il dettaglio indipendente ha perso più di un punto e mezzo di rete vendita dall’inizio della crisi, mentre nella gdo più del 40% dell’area vendita ha subito cambiamenti sia imprenditoriali (di proprietà, di insegna ecc) che strutturali, con in testa una crescita violenta del segmento discount (+50% di area vendita dal 2007 al 2013). In termini di metri quadri per abitante l’Italia ha superato ormai il gap che la contraddistingueva rispetto agli altri Paesi, ma in termini di reazione alla crisi nel Bel Paese, come in Spagna, la grande distribuzione ha sofferto parecchio: se nel 2008 erano i Paesi con il più alto tasso di crescita delle vendite, nel 2013 vi si registrano le performance peggiori. Anzi, l’Italia si è caratterizzata per la contemporanea stasi dei volumi (1,4% in un quadriennio) e la stasi dei prezzi (2,7% dal 2008 al 2012). Nel nostro Paese, comunque, i prezzi al consumo sono cresciuti molto meno della media europea: ma l’industria alimentare ha fatto segnare un incremento superiore alla media europea e il differenziale tra prezzi dell’industria e prezzi al dettaglio è stato quasi del 7% dal 2005 a oggi. Secondo Coop, è il dato più elevato in Europa, secondo solo alla Spagna.
La palestra del food
Nell’alimentare, la spesa pro capite all’anno si attesta ormai sui 2.400 euro (nel 1971 a parità di valore della moneta si spendeva di più): il calo in quantità rispetto ai valori pre crisi del 2007 dovrebbe toccare il 14 per cento. Un insieme di accorgimenti (l’acquisto just in time, i formati più convenienti, la ricerca delle promozioni, lo spostamento di merceologie ecc) dovrebbe permettere ai consumatori di risparmiare solo nel 2013 circa 2,5 miliardi di euro.
Accanto all’alimentare crolla tutto: è una debacle per abbigliamento e calzature (l’italiano ben vestito e ben calzato è sempre più una rarità), si rarefanno gli acquisti di libri e giornali. Calano gli acquisti di auto (-10% nel 2013 ma -50% rispetto al 2007) e anche il loro utilizzo: rispetto a prima della crisi gli spostamenti nel giorno medio feriale sono scesi da 128 a 97,5 milioni (un quarto del totale). Anche i viaggi aerei arretrano nel primo semestre 2013.
Nasce la figura del consumatore-internauta: dalla lista della massaia con carta e biro alla pianificazione scientifica e razionale via web e finanche all’acquisto. In Italia quest’anno sono 40 milioni gli utenti connessi a internet, 29 i navigatori attivi ogni mese. Esplode la navigazione in mobilità (23 milioni di italiani arrivano a internet attraverso tablet e smarthpone; oltre 10 milioni in più rispetto al 2012 ne hanno uno nuovo).
Nell’alimentare è il momento di etnici e verdi
A sorpresa, nel carrello della spesa persino i prodotti della dieta mediterranea sono in difficoltà (il pane e i carboidrati hanno ceduto il -11% in quantità, l’olio d’oliva il -6%: complessivamente, il carrello denominato ‘basic’ flette rispetto a un anno fa di un buon 1,3%), mentre è l’etnico a risultare vincente con +6,4 per cento. Gli italiani, per di più, vanno riscoprendo il piacere dell’autoproduzione alimentare. Circa 7,4 milioni (quasi il 15% della popolazione maggiorenne) curano orti e/o giardini. Quasi il 20% degli italiani dediti alle attività di coltivazione agricola lo è diventato negli ultimi 5 anni, proprio in coincidenza con la crisi economica. Il 45% dei consumatori dichiara di aver comprato prodotti a km zero; il biologico appare poco toccato dalla crisi, con un fatturato 2013 a +17% rispetto al 2011. Calano i rifiuti (50 kg a testa di rifiuti prodotti in meno in 6 anni) anche se i più virtuosi sul versante “antispreco” sono ancora i tedeschi con un volume di sprechi alimentari pro capite dimezzato.
Risparmio = rinunce ai consumi privati
Anche in caso di miglioramento della situazione economica, il 25% degli italiani farà più spesso a meno dell’auto, il 23% farà a meno di abiti nuovi e il 16% ridurrà le vacanze (nell’estate appena finita vi hanno rinunciato oltre 4 milioni di persone in più rispetto al 2012). La stessa spesa alimentare, a valori reali, torna ai livelli degli anni Sessanta: il taglio delle quantità acquistate è la soluzione dilagante e i sacrifici non risparmiano più nemmeno i bambini. Calano le vendite di pannoloni, biberon, ciucci, alimenti, creme e prodotti per la cura dei più piccoli (complessivamente un -4%, ma il comparto di biscotti e cereali flette di oltre l’11%). Anche in ambiti più ‘privati’ si assiste a una ricerca spasmodica del risparmio: il consumo di carta igienica è diminuito dal 2008 di circa il 9% con una particolare accelerazione proprio nell’ultimo anno. Le lamette da barba hanno perso quasi un quarto dei consumi dall’inizio della crisi e non va meglio per i profilattici: negli ultimi due anni ne sono stati venduti circa 3,6 milioni in meno.
Anche i ‘vizi’ più diffusi tra gli italiani risentono della congiuntura negativa: per il beverage alcolico c’è -4% nell’ultimo anno, per gli aperitivi oltre -5%, per amari e liquori oltre il -3%, mentre per le sigarette fumate a -14% in 2 anni. Gli italiani si negano anche il piacere del caffè (il comparto caffè-tè-cacao registra una flessione a valore pro capite in 6 anni del -21%), persino il calcio perde colpi (-1 milione i biglietti venduti nell’ultima stagione, -2 dall’inizio della crisi). Oltre ai farmaci di sostegno per le performance amorose, si salvano solo i giochi: la spesa in scommesse, giochi e lotterie al lordo delle vincite dovrebbe sfiorare i 100 miliardi di euro nel 2013.
Verso i consumi condivisi e gratuiti
Si cerca il baratto o si ottengono beni e servizi gratis: è il fenomeno in crescita della sharing economy, in cui l’accesso al bene è più importante del suo possesso. Sono oltre 120 i siti in Italia che promuovono modalità di consumo condiviso e si scambia di tutto: le più tradizionali case e auto, ma anche biciclette e barche e persino beni non durevoli (vestiti, cibo) o servizi e competenze.
La piazza virtuale fa proseliti: 21 milioni di italiani si limitano a leggere opinioni di altri consumatori, più di 8 milioni partecipano attivamente alle discussioni sui consumi on line. Le comunicazioni sociali in rete hanno oramai surclassato il telefono: per le prime in media si perdono oltre 20 minuti al giorno contro i 10 minuti della conversazione via filo. Per 10 milioni poi le procedure di acquisto si sono invertite: il prodotto si vede sì in negozio, ma si compra online (per l’abbigliamento, l’online registra un +41%, per i prodotti tecnologici +19%). In generale, l’e-commerce cresce a ritmi sostenuti, prossimi al 20% e supera nel 2013 la soglia dei 10 miliardi di euro.