La notizia è sulla bocca di tutti. Calano le vendite e le quote di mercato per quasi tutte le società. In particolar modo per alcune grandi multinazionali e per alcuni loro brand. Mentre altre medie società crescono all’estero come Giovanni Rana, illy, San Benedetto, Del Verde, Rummo, Inalpi o in Italia come La Molisana, D’Amico, Mutti, Noberasco, Italia Zuccheri, Maina Panettoni, Balocco, Parmareggio, Rigamonti, Generale Conserve, Galbusera, Latteria Vipiteno, Rigoni, Fage Italia e Latteria Montello.
Tutta colpa del mercato che in Italia registra forti contrazioni? Oppure le multinazionali sbagliano obiettivi e strategie? Per cercare di mantenere le quote di mercato quasi tutte azionano la leva degli sconti e dei contributi, senza però riuscire a ripetere i risultati degli anni precedenti. E pensare che hanno dirigenti esperti e consulenti super pagati per proporre idee e opportunità di business, per organizzare meglio le vendite, la ricerca e sviluppo, le fabbriche o i magazzini.
Ma i conti non tornano lo stesso. In alcuni casi crollano. Per questo imprenditori e amministratori delegati vanno in fibrillazione. A volte licenziano, altre volte riorganizzano, ma anche dopo queste azioni i conti non tornano. La verità è che è difficile comprendere che cosa stia succedendo sul mercato. Proviamo a cercare di spiegarlo.
Prima considerazione
Il boom di crescita delle private label è una prima ragione. Coop Italia fattura quasi 3 miliardi di euro all’anno e cresce a due cifre: l’anno scorso del +26%, marginando bene e vendendo anche prodotti premium a prezzi più cari di quelli di marca. Di fatto, Coop è diventata una delle prime industrie alimentari in Italia senza avere una fabbrica o un operaio in produzione. Vanno forte anche Conad, Eurospin, Esselunga e Sigma. Conad, per esempio, ha venduto prodotti Sapori e Dintorni all’estero per un valore pari a 50 milioni di euro e punta a crescere a due cifre per i prossimi anni. Alla faccia della crisi. Anche Eurospin vende bene all’estero (soprattutto in Slovenia) i prodotti della sua pl. “La verità è che si fidano di più dei nostri prodotti, come qualità e prezzo, rispetto a quelli esportati da altre aziende di marca – precisa un manager Conad – soprattutto dopo che hanno spedito per anni all’estero formaggi, prosciutti e bottigliette di aceto balsamico taroccati in Giappone, Usa e anche in Europa”. All’estero venivano e vengono ancora spediti troppi prodotti scartati in Italia. Le specialità Sapori e Dintorni, Fiorfiore o Esselunga Top sono prodotti premium provenienti da aziende di marca o da specialisti artigiani.
Rana, per esempio, ha scelto la strategia vincente di crescere e di guadagnare sia con la propria marca sia con la pl. Altri preferiscono fare solo pl. Entrambe le opzioni possono funzionare.
Con questa strategia mista stanno guadagnando bene Rummo e La Molisana mentre De Cecco, Del Verde, illy crescono a due cifre puntando esclusivamente sulla propria marca.
Ma allora perché i prodotti Galbani, Lavazza, la pasta Barilla o le lattine e le bottigliette di Coca Cola soffrono più di altri prodotti la crisi dei consumi perdendo quote di mercato e marginalità?
“L’importante è che le nostre confezioni si possano trovare sullo scaffale: non importa se si venderanno”: avrebbero detto i venditori di una nota marca di prodotti premium ai buyer di alcune catene. Insomma, una strategia di sell in, sostenuta da contributi assurdi pur di vendere (e prendere i bonus) e tentare l’ennesimo rilancio di prodotti che non girano.
Meglio ha fatto, allora, Ferrero decidendo di togliere Gran Soleil dal mercato delle vaschette di gelato. Senza però buttare a mare i soldi spesi per la comunicazione e la grande notorietà raggiunta dal brand. Stanno pensando, infatti, di realizzare un’estensione di gamma introducendo bibite alla frutta, dopo il test positivo fatto in Liguria (Albenga e dintorni).
Seconda considerazione
L’innovazione di prodotto o di pack e le strategie di marketing e commerciali sono sempre una carta vincente. Ne sanno qualcosa P&G e Unilever, che hanno introdotto, e stanno per introdurre ancora sul mercato, novità interessanti. Come hanno fatto Parmareggio, Valsoia, Generale Conserve, Aia, Rigamonti, Noberasco, illy, De Cecco, La Molisana, Del Verde e Rummo, per citarne alcuni.
Mentre i concorrenti cercano di vendere sempre gli stessi formaggi, salumi, pasta o caffè (di fatto, ormai, delle commodity) queste imprese sono state capace di innovare, i prodotti o i pack, posizionandosi nel segmento speciality. Dopo i formaggini e le fettine al parmigiano-reggiano fuso, Parmareggio, per esempio, si prepara a lanciare il prossimo anno una nuova vaschetta di crema spalmabile al parmigiano. Anche Valsoia ha presentato alla fiera Anuga a Colonia una crema vegetale spalmabile molto interessante. Insomma, vogliono rosicchiare (e si accontenterebbero di poco) una piccolissima quota di mercato a Philadelphia, un brand globale che fattura circa 6 miliardi di euro, metà dei quali in America, l’altra metà nel resto del mondo. E pensare che molti sostengono che i prodotti spalmabili non funzionano in Italia!
Anche Vito Gulli, il patron di Generale Conserve, dopo aver comprato Manzotin da Bolton Group di Nissim, si appresta a fare un’altra acquisizione e punta a vendere non solo scatolette di tonno o filetti di sgombro, ma altri modi di consumare il tonno, come per esempio confezioni di tonno spalmabile o nuovi filetti. Noberasco invece si è messo a produrre anche caramelle alla frutta e sta allestendo un nuovo stabilimento. Aia ha lanciato il wurstel precotto Dakota, che vuole vendere anche all’estero dopo il successo avuto in Italia. De Cecco sfida Barilla lanciando 9 item nel bakery: i prodotti sono eccellenti, le confezioni belle e i prezzi superiori a quelli del competitor di un 30 per cento. La strategia è quella di raccontare ai consumatori la storia dei grani cioè spiegarne la provenienza, la qualità facendo cultura sui prodotti e spiegando che cosa c’è dietro. Rigamonti invece è andato in rottura di stock nel secondo semestre grazie a una promozione (digital collection) fatta con le vaschette di bresaola. illy cresce a due cifre proseguendo nella strategia di conquistare clienti nell’horeca (e anche nel retail) sia in Italia sia all’estero puntando sul grande brand e sul design di nuove macchinette da caffè. Mentre Segafredo Zanetti retrocede illy sta crescendo a due cifre, in Italia e all’estero, senza svendere. Nelle conserve di pomodoro, la case history di Mutti andrebbe raccontata ad Harvard. Non ha sbagliato un colpo. Anche San Benedetto ha tirato fuori nuovi prodotti che gli hanno permesso di crescere nei mercati esteri e di rosicchiare in Italia quote di mercato ai competitor.
Nella pasta si sono scatenati in molti: La Molisana, Del Verde, Rummo, Di Martino. Tutti stanno crescendo, in Italia o all’estero, con strategie di nicchia e innovando prodotti e pack oppure mettendo in campo strategie di marketing e commerciali vincenti. Mentre alcune grandi multinazionali sembrano comportarsi come ‘la bella addormentata nel bosco’ perdendo quote e marginalità.
Anche se Barilla mantiene la leadership nella pasta retrocede sul mercato italiano con la pasta Barilla e Voiello. Claudio Colzani, il nuovo amministratore delegato, ha cambiato l’organizzazione commerciale per limitare i danni e ritornare a crescere. La nuova strategia? Concentrarsi sui prodotti e i brand che si vendono, tirarne fuori altri e fare nuove acquisizioni per raddoppiare il fatturato nei prossimi anni. Tagliando i prodotti che non vanno e intervenendo sui costi. Come per esempio le spese per convegni e mega consulenze. Barilla, insomma, punta sui brand che vanno bene come Mulino Bianco e GranCereale e cerca di recuperare le quote sulle vendite della pasta in Italia.
Giovanni Rana invece, grazie alle capacità del figlio Gianluca (ad dell’azienda familiare) e della nuora Antonella (responsabile dei progetti per la ristorazione in Italia e all’estero), sta registrando una forte crescita sui mercati esteri. “A New York – dichiara Giovanni Rana – il nuovo ristorante che abbiamo aperto sembra una portaerei. Vi lavorano 100 dipendenti per servire anche 1.400 persone al giorno. Anche lo stabilimento a Chicago va forte e pensiamo di ampliarlo. I miei tortellini sono molto apprezzati anche negli Usa”.
Terza considerazione
I consumatori mangiano meno e vanno a fare la spesa nei mercatini rionali, nei mercati all’ingrosso o anche direttamente dai produttori. Acquistano anche i prodotti on line. E mangiano sempre di più fuoricasa. Non solo per risparmiare ma anche per scelta. Tutti posti non rilevati da Nielsen o da Iri e ignorati dalle multinazionali. Mentre i cash & carry e gli iper registrano forti cali nelle vendite, i canali alternativi vanno forte. Spacci aziendali, mercatini a km O, street food sono i nuovi modi di fare la spesa o di consumare. Per capire meglio andate a visitare i negozi di Olio Carli (che dopo quelli di Imperia, Padova, Torino aprirà anche a Milano il 16 novembre prossimo e in altre città) o gli spacci aziendali di Aia o di Amica Chips. Oppure visitate alcuni mercati all’ingrosso di frutta e di verdura quando aprono i cancelli per fare entrare tutti. Per non parlare delle vendite dirette on line dal produttore al consumatore. Non solo in Italia. L’e-commerce in Inghilterra va fortissimo. Questi trend non vanno ignorati. Sono da studiare e da comprendere.
Quarta considerazione.
La prima cosa che molti fanno è tagliare i costi: non solo delle risorse umane, ma anche della comunicazione. Chi però ha continuato a investire in advertising, sia verso il trade sia verso i consumatori, anche ottimizzando i budget, ha ottenuto risultati positivi. A differenza di coloro che hanno ridotto i budget e le cui vendite sono in calo. Citiamo, come esempi del primo caso, Ferrero, Parmareggio, De Cecco, San Benedetto, Generale Conserve, Mutti, D’Amico, La Molisana, Del Verde, Rummo e Inalpi per l’industria e Conad, Coop, Sigma, Eurospin, Esselunga per la distribuzione.
“Chi smette di fare pubblicità per risparmiare soldi è come se fermasse l’orologio per risparmiare il tempo”, affermava Henry Ford. E sosteneva questa tesi: “Le anatre depongono le loro uova in silenzio. Le galline invece schiamazzano come impazzite. La conseguenza? Tutto il mondo mangia uova di gallina”.
Continuare a comunicare e investire bene in attività di pubblicità e di marketing è strategico e indispensabile.
Quinta considerazione
Siamo dei nani e restiamo dei nani nello scenario internazionale. Le nostre aziende sono sottocapitalizzate. In un settore, come quello del food & beverage, penalizzato da ebitda molto bassi rispetto ad altri comparti, non si riesce a spingere l’acceleratore dell’internazionalizzazione insieme a quello della finanza.
Perchè in Italia non si fanno – o se ne fanno poche – operazioni di private equity, joint venture, aggregazioni fra piccoli per diventare grandi o quotazioni in Borsa? Alla porta si sono affacciate banche, fondi internazionali e anche privati che hanno soldi da investire. Ma la porta rimane chiusa. Con la cultura del ‘piccolo è bello’ – oppure del ‘meglio restare da soli che fare fusioni o integrazioni o semplicemente far entrare altri nell’azionariato’ – si va poco lontano. I soldi servono per fare investimenti e avere le risorse necessarie per sviluppare business in tutto il mondo.
Due esempi. Il primo: Oscar Farinetti. Un imprenditore lungimirante che ha creduto nel progetto Eataly e lo sta sviluppando in tutto il mondo, con il sostegno del socio Coop che ha le spalle belle larghe. Apre fra poco un nuovo punto vendita a Istanbul e un’hamburgheria in via Veneto a Roma. Nel febbraio 2014 anche a Milano, in piazza San Babila, dove Carlo, Claudio e Roberto Zaccardi (a cui fanno capo i brand Boggi e Bryan & Barry) hanno destinato un intero palazzo a un megastore multimarca e multipiano in stile Usa dedicato non solo al fashion, ma soprattutto al food e alla ristorazione coinvolgendo tra l’altro, oltre a Eataly, anche Rosso Pomodoro e Lavazza.
Il secondo esempio. Nestlé ha creduto nel progetto Nespresso (macchinette, capsule, locali e pdv). Per anni ha investito ed è riuscita oggi nel progetto generando profitti. Fattura oltre 3 miliardi di euro contro i circa 300 milioni di euro di Lavazza e i 30 milioni di euro di illy per questa categoria. I numeri parlano senza ulteriori commenti.
Abbiamo inventato l’espresso e i bar caffetterie in Italia, ma il business nel mondo lo fanno Starbucks e Nestlé. In Italia abbiamo inventato la pizza, la pasta, tanti salumi, tanti formaggi, l’olio d’oliva, le conserve di pomodoro e i sughi, ma il business sta passando di mano. La responsabilità è solo nostra. Imprenditori che investono nella finanza o diversificano e sprecano risorse anziché concentrarsi nel core business. Banche, finanza e assicurazioni che hanno fatto diventare grandi i vari Tanzi, Cragnotti e Ligresti anziché dare fiato a progetti industriali o commerciali o finanziato acquisizioni all’estero. Anche se qualcosa sta cambiando e alcuni istituti di credito, come per esempio Intesa San Paolo e Unicredit, oggi sono vicini agli imprenditori che hanno progetti interessanti da finanziare.
In questo scenario la politica delle tasse e della burocrazia da un lato e il costo del lavoro e la mancanza di norme e di regole certe dall’altro non incentivano gli investimenti nel Bel Paese. Trasferire la sede in qualche paradiso fiscale o in Svizzera non è la soluzione.
Vanno cambiate le regole in Italia: altrimenti si uccide un intero comparto, come quello alimentare, così com’è stato fatto per altri settori negli anni passati. Non serve una politica di sostegno, ma, lo ripetiamo, regole certe, flessibilità, meno tasse, garanzie sugli incassi dalle vendite, banche e finanza, che vanno a braccetto con imprenditori lungimiranti e seri alla conquista del mondo.
Per concludere: il mercato italiano è in crisi per tutti, solo chi sa fare bene il suo mestiere riesce a limitare i danni e cresce all’estero. Non basta il brand. Servono esperienza ma anche capacità nuove. Sperimentare nuovi canali (come farmacie, librerie, duty free, outlet), negozi e locali monomarca, vendite on line e nei mercatini offrendo sempre prodotti buoni e prezzi corretti. Sell out e non solo sell in. Marginando bene senza svendere. Chi invece aspetta e dorme retrocede. Anche se sono multinazionali. Paolo Dalcò