Nella generale implosione dei consumi alimentari delle famiglie italiane, l’universo del fresco resiste a valore, ma cede a volume. Tra ortofrutta, latticini, carni e salumi, la macrocategoria ha sviluppato all’interno di iper e super da gennaio ad agosto 2013, un fatturato di circa 18,4 miliardi di euro (in prezzi al pubblico). Una cifra praticamente allineata – con +0,3% – al giro d’affari generato nello stesso periodo dell’anno scorso, visto che nel corso del 2013 si è andata rafforzando la tendenza delle famiglie a effettuare una spesa del fresco più oculata, ossia attenta alle effettive esigenze di consumo, per evitare eccessi e sprechi. Peraltro, nei primi otto mesi del 2013, mentre il prezzo medio dei prodotti freschi è cresciuto del +2,1%, in parallelo si è registrato un calo a volume (–1,8%) che quasi compensa la spinta inflattiva. A trainare le vendite è – come sempre – il comparto dell’ortofrutta, con il 23% dei 18,4 miliardi di euro del sell out complessivo dei freschi, seguito dalle carni (con il 21%), i formaggi (16%), i salumi (13%) e gli yogurt (4%). Come attesta il servizio Random Weight di Iri – che monitora in modo continuativo l’andamento dei freschissimi a peso variabile – nel canale iper+super, le vendite di prodotti al banco assistito (per salumi, formaggi, gastronomia e bakery) oppure sfusi (come nel caso dell’ortofrutta) raggiungono il 62% circa del giro d’affari complessivo di prodotti freschi.
Peraltro, il trend differenziato dei prezzi ha portato gli shopper a rivedere i propri criteri di scelta penalizzando leggermente a livello quantitativo gli acquisti dei prodotti a peso variabile, percepiti in genere come più cari: del resto, l’inflazione di tali prodotti è stata del +2,3% nei primi otto mesi del 2013, mentre le referenze a peso imposto, grazie anche alla sostanziale stabilità dei prezzi (–0,3%), sono riuscite a resistere sul piano quantitativo, beneficiando probabilmente anche delle flessioni del peso variabile.
Il trend delle vendite, comunque, varia a seconda delle macrocategorie. L’ortofrutta, la più importante, ha registrato una crescita degli acquisti di prodotti a peso variabile pari a +125 milioni di euro (+5,4%).
FORMAGGI
Nei formaggi si registra un calo della spesa di –43 milioni di euro (circa –1,5%): sia nel peso variabile (–2,1%, pari a –31 milioni di euro) sia in quello imposto (con –12 milioni di euro rispetto allo stesso periodo del 2012). Il latte fresco, invece, segna una perdita di circa –16 milioni di euro (–3,8%).
Tra i segmenti in flessione spicca quello delle mozzarelle a peso imposto con –4,3% (pari a –21 milioni di euro), nonostante il ribasso dei prezzi (–2,1%), guidato da un’intensa attività promozionale.
Ma anche il grana a peso variabile perde il –4% (ossia –19 milioni di euro) anche a causa dell’elevato prezzo medio al kg (13 euro/kg).
I consumatori puntano sì al risparmio per molti formaggi di consumo frequente: così il sell out di crescenza a peso imposto, per esempio, sale di +3,4 milioni di euro a fronte di un calo di circa +2 milioni di euro nel peso variabile. I prodotti a peso variabile, infatti, costano mediamente 11,7 euro/kg mentre quelli a peso imposto costano circa 9 euro/kg. In altri casi, in nome della qualità non rinunciano a spendere di più: come per le mozzarelle a peso variabile, le cui vendite crescono di +1,7 milioni di euro, nonostante il prezzo medio/kg sia maggiore rispetto a quello del peso imposto.
SALUMI
Per i salumi, si evidenzia una crescita delle referenze a peso imposto, con +4% (pari a +27,6 milioni di euro) e una flessione di quelle a peso variabile (–40 milioni di euro). Tra i salumi a peso imposto, trend particolarmente favorevoli per prosciutto cotto (+8 milioni di euro), crudo (+5 milioni di euro) e arrosti affettati. Ma anche le altre tipologie di affettati, nonostante il prezzo medio al kg elevato, crescono, mettendo a segno complessivamente +18 milioni di euro nel periodo considerato.
In parallelo, arretrano le vendite di salumi a peso variabile (per lo più al banco assistito): spicca il calo di –7 milioni di euro di vendite di prosciutto cotto e di –20 milioni di euro per il crudo, malgrado nelle vaschette a peso imposto sia evidente il costo maggiorato per la stessa quantità di prodotto.
Una scelta spiegabile con l’esigenza di ridurre gli sprechi aumentando la capacità di conservazione dei salumi (ma anche dei formaggi) nel frigorifero di casa, garantita proprio dalle confezioni a peso imposto. I consumatori cioè ritengono di risparmiare spendendo di più per un prodotto più duraturo.
CARNI
Particolarmente positivo è l’andamento degli acquisti di carne a peso imposto (+9,2% a valore), pari a +21 milioni di euro rispetto al 2012, mentre ha perso –18 milioni di euro il sell out della carne in confezioni a peso variabile. Va ricordato, a tale proposito, che il prezzo medio al kg delle carni a peso variabile è 8,1 euro mentre di quelli a peso imposto è di 8,4 euro: un delta di prezzo relativamente contenuto.
Peraltro, la carne avicunicola ha registrato una forte crescita sia nel peso imposto, dove spesso l’attività delle marche è molto intensa (+17,5%, con un aumento di spesa di +5,7 milioni di euro), anche a fronte di una spinta inflazionistica (+3,1%), sia nella componente a peso variabile, cresciuta di +19 milioni di euro. Le famiglie puntano su prodotti alternativi dal costo più basso. Il prezzo medio della carne avicunicola è tra i 7 e gli 8 euro/kg contro i 10/11 euro/kg della bovina, che assorbe circa il 24% degli acquisti di carne a valore e ha registrato una consistente flessione di spesa nel peso variabile (–22 milioni di euro), contraddistinto da un prezzo medio/kg più alta (circa 11 euro/kg). Il bovino ha invece tenuto nel peso imposto, dato il prezzo al kg più contenuto (per esempio, gli hamburger industriali preconfezionati). Lo spostamento della spesa verso il peso imposto è determinato anche dalla crescente presenza delle marche in alcune tipologie. Nel peso variabile, le carni del segmento hamburger crescono però curiosamente di +6,6 milioni di euro (+8%) e hanno un prezzo medio al kg superiore a molte carni bianche (circa 9 euro/kg).
In questo caso, oltre al costo inferiore si potrebbe trattare di un fatto ascrivibile anche a cambiamenti di stili di consumo: per esempio a uno spostamento dal fuoricasa (fast food, bar, pub ecc.) alle mura domestiche.
La carne di vitello ha perso il –3% (oltre -7 milioni di euro) nell’ultimo anno, anche a causa del prezzo medio al kg (15 euro), mentre per la suina l’esborso cresce di +10 milioni di euro tra peso imposto e variabile dato il prezzo al kg decisamente più basso rispetto alla media della categoria
DAI PRODOTTI TRENDY AL PANE FRESCO
L’evidente ricerca di saving non impedisce, peraltro, il buon esito, per esempio, di alcuni prodotti trendy, come le nuove proposte a base soia, cresciute del +26% (cioè +655mila euro nel periodo gennaio–agosto 2013).
Penalizza invece l’acquisto di pane fresco a peso variabile in iper e super, con una flessione pari a –5 milioni di euro su un totale di 714 milioni di euro. Un calo da attribuire forse a uno spostamento di canale, per il ridotto appeal dell’attuale offerta nelle strutture di iper e super.
CONCLUSIONI
Le ricerche di shopper insights di Iri evidenziano, infine, come i consumatori italiani con l’obiettivo di risparmiare visitino almeno tre tipologie di negozi in un mese e faccia la spesa almeno due volte alla settimana. Acquistano inoltre pochi prodotti ma più frequentemente, non fanno scorte ma comprano confezioni famiglia o scelgono le monoporzioni per ridurre gli sprechi. Al calo degli acquisti dei prodotti più cari – come carne rossa o alcune tipologie di formaggi – fa riscontro comunque una costante attenzione anche alla qualità. Il contenimento dello spending con una maggiore attenzione alle promozioni non si traduce necessariamente in un puro impoverimento del value for money. I criteri d’acquisto subiscono variazioni in relazione alla categoria merceologica: per i freschi, gli ingredienti/qualità, il gusto e il servizio rimangono componenti molto importanti a cui produttori e gdo devono continuare a prestare la massima attenzione.