L’agricoltura biologica è uno dei settori che non solo resiste alla crisi, ma vive anche un periodo di forte espansione, e non solo a livello internazionale. Nel primo semestre del 2013, infatti, gli acquisti domestici di biologico confezionato sono aumentati dell’8,8% in valore nonostante una flessione del 3,7% della spesa nel settore agroalimentare.
E, fra le regioni italiane dal forte profilo rurale e più vocate alle coltivazioni bio, le Marche vantano una superficie agricola utilizzata che copre oltre la metà del territorio, quota che arriva quasi all’80% se si considerano le superfici aziendali nel loro complesso. I terreni biologici marchigiani, inoltre, rappresentano l’11% della superficie agricola regionale, ovvero 52mila ettari circa di superficie agricola utilizzata e oltre 2mila aziende agricole.
Per tutelare gli agricoltori biologici e i consumatori e garantire una produzione trasparente, nel 2010 è nato il Consorzio Marche Biologiche, che ha riunito in un’unica filiera gli agricoltori biologici della regione, promosso da Gino Girolomoni Cooperativa, Italcer, La Terra e il Cielo Cooperativa, Montebello Cooperativa e Terra Bio. Le cooperative non solo si adoperano per garantire procedure di attenzione alla qualità nell’intero processo produttivo, dalla semina al prodotto finito, ma adottano anche comportamenti ambientali ecosostenibili, come la produzione di energia da fonti rinnovabili, la bioarchitettura, la valorizzazione di fonti storiche. I prodotti sono etichettati con informazioni dettagliate sui produttori, le aziende, le varietà vegetali coltivate, le tecniche di coltivazione, i territori di provenienza; le confezioni sono sacchetti trasparenti che rivelano il contenuto interno; le merci in entrata e in uscita sono tracciate in modo informatizzato, con certificazione di biologicità e di provenienza del prodotto; l’intero processo è sottoposto a certificazioni nazionali e internazionali, a seconda del Paese di destinazione.mPer esempio, La Cooperativa La Terra e il Cielo di Piticchio di Arcevia (AN) ha dotato le confezioni di pasta, cereali e legumi di etichette parlanti che riportano il territorio d’origine del prodotto, le tecniche di coltivazione, di trasformazione, i metodi di conservazione e le caratteristiche organolettiche e nutrizionali; l’edificio della sede è costruito secondo i criteri della bioarchitettura e del feng shui e tutti gli impianti collegati sono alimentati da un impianto fotovoltaico da 85 kilowatt, che consente l’autonomia energetica dell’azienda. Anche la Cooperativa Agricola Gino Girolomoni ha inaugurato nel 2009 un impianto eolico da 20 kwh e nel 2011 un impianto fotovoltaico da 116,9 kwh. Entrambi producono il 20% dell’energia della cooperativa, mentre la parte restante proviene da fonti rinnovabili, pagata un prezzo più alto rispetto all’energia da carbone o da petrolio.
Eppure, i prodotti della filiera biologica marchigiana sono più conosciuti all’estero che in Italia, tanto che da anni l’export nei cinque continenti oscilla dal 60% al 90% del fatturato totale. La Cooperativa Agricola Gino Girolomoni, per esempio, vanta una quota export che sfiora oggi l’85-90% del fatturato totale, e una presenza in 21 Paesi. “Occorre un cambio di passo del sistema Italia e regionale – dichiara Francesco Torriani, presidente del Consorzio Marche Biologiche – affinché la conversione al metodo biologico sia incentivato con maggior determinazione. La nuova Pac e la programmazione del nuovo Psr possono essere delle occasioni formidabili da non perdere. Nel nuovo Piano di Sviluppo Rurale occorre infatti favorire senza reticenze le politiche agroambientali e nello specifico: la compensazione dei costi per il controllo e la certificazione, l’incentivazione all’impiego di semente biologiche, la predisposizione di meccanismi premiali per chi sviluppa sinergie tra l’adozione del metodo biologico e lo sviluppo di progetti aziendali di filiera e multifunzionali. Infine, strategica risulta la promozione dei prodotti biologici verso i consumatori e gli operatori commerciali italiani ed esteri”.