Buone nuove dal mondo. Secondo le più recenti elaborazioni Assica (Associazione industriali delle carni e dei salumi) sui dati Istat le esportazioni dei prodotti della salumeria italiana hanno raggiunto quota 143.500 tonnellate (+3,8%) stabilendo il risultato di1,182 miliardi di euro (+5,7%). Lontano dai tassi di crescita a due cifre che avevano caratterizzato il biennio 2012-2011, in un contesto difficile, caratterizzato soprattutto nella prima parte dell’anno da un brusco rallentamento degli scambi commerciali a livello mondiale e in particolare europeo, il settore ha dunque registrato un discreto trend dei volumi inviati e un buon risultato in valore.
Nel corso dell’anno è tornato a crescere anche l’import: +9,2% in quantità per 43.930 tonnellate e +9,2% in valore per 175,8 milioni di euro. Nonostante questo aumento. Il saldo commerciale del settore ha registrato un ulteriore importante incremento (+5,1%) superando 1 miliardo di euro.
Le esportazioni del settore, in termini di fatturato, hanno dunque mostrato un passo in linea con quello dell’industria alimentare (+5,8%) e decisamente più brillante di quello del Paese sostanzialmente stabile rispetto al 2012 (-0,1%).
“Nell’anno più difficile dall’inizio della crisi per l’economia italiana e per i consumi interni l’export ha rappresentato senza dubbio l’unica forza trainante del settore. Come gli altri settori dell’alimentare, stiamo guadagnando posizioni sui mercati esteri, aumentando la quota di export sul fatturato e riavvicinandoci alla media del manifatturiero e lo stiamo facendo nonostante norme specifiche per il settore ci penalizzino più degli altri comparti. Le nostre aziende, inoltre, stanno intercettando la domanda dei Paesi più promettenti anche se più lontani e lo stanno facendo senza rinunciare alla qualità e alla tradizione delle nostre produzioni. Ma tutto questo rischia di non bastare. Manca infatti un sistema Paese che sostenga adeguatamente i nostri sforzi. L’impossibilità, nonostante le tante risorse impegnate, di debellare definitivamente alcune malattie veterinarie negli allevamenti italiani limita la gamma dei prodotti esportabili e i Paesi di destinazione e ci espone continuamente al pericolo di chiusura dei mercati extra Ue comportando ogni anno perdite per la filiera suinicola che si possono prudenzialmente stimare in circa 250 milioni di euro di mancate esportazioni. I maggiori costi di energia, lavoro, burocrazia rendono i nostri prodotti meno competitivi di quelli dei nostri principali competitor europei. Manca, poi, una strategia di lungo periodo che, attraverso un adeguato stanziamento di risorse e professionalità, assicuri che gli accordi raggiunti in ambito comunitario o nazionale si concretizzino in aperture effettive per tutte le aziende del comparto e per tutti i prodotti. Troppo spesso, assistiamo, infatti, all’imposizione, da parte dei Paesi terzi, di vincoli burocratici che di fatto svuotano gli accordi di apertura dei mercati, rendendo impossibile o economicamente insostenibili le esportazioni – ha commentato Lisa Ferrarini, presidente di Assica –.