Gentile Bernardo Iovene,
come presidente UnionAlimentari-Confapi – Unione Nazionale della Piccola e Media Industria Alimentare – pur rappresentando il settore industriale della trasformazione e non la categoria dei ristoratori e pizzaioli sento il dovere di scriverle prendendo spunto dall’ultimo suo servizio andato in onda nel corso dalla trasmissione Report, dedicata alla nostra amata pizza, e focalizzato a Napoli, la città dove la pizza ha fatto la sua comparsa nei primi decenni del ‘700. Questo perché ritengo opportuno considerare la Pizza uno dei simboli del cibo italiano.
La puntata ritengo sia stata interessante, ha posto in pochi minuti l’attenzione su questioni fondamentali legate al cibo, alla salute, agli aspetti nutrizionali, alla scelta ed alla qualità delle materie prime, al messaggio ed alla comunicazione nei confronti del consumatore, al ruolo degli “organismi” di tutela (se ve ne fosse), alla formazione degli attuali e dei futuri “professionisti” dell’alimentazione.
Tutti temi che avrebbero senza dubbio richiesto anche ben più ampi approfondimenti.
Tuttavia, pur senza voler criticare il giornalismo d’inchiesta, mi chiedo in realtà quale sia il messaggio che in fondo in tutti noi rimane alla fine del servizio, se non l’allarmismo sugli effetti negativi sulla salute, tutt’altro che nuovi, degli idrocarburi prodotti dalla combustione delle sostanze organiche, collegati esclusivamente ad un prodotto simbolo del nostro Paese.
Di fronte a temi così delicati, l’approccio scientifico, non crede che dovrebbe essere ben altro?
Inoltre, ritengo si finisca troppo facilmente nel confondere la cottura a legna come procedimento tradizionale e quelle che sono violazioni delle norme igienico sanitarie o meglio dei basilari principi d’igiene, quale ad esempio la necessità di pulire i forni. Tutti aspetti che non dovremmo collegare alla pizza napoletana o milanese che sia, ma alla mancanza di professionalità da parte di alcuni, che rischia di inficiare il buon lavoro dei tanti, ma soprattutto infangare il buon nome e l’immagine dei nostri prodotti.
Lo stesso approccio giornalistico lo abbiamo visto sul caffé, altro prodotto simbolo dell’italianità, senza dimenticare la pasta che da sempre è sotto i riflettori a causa dell’impiego di grano di ottima qualità, ma colpevole di essere in parte d’importazione. L’olio italiano infine, è un altro prodotto che da sempre è perseguitato dal sospetto di non essere nazionale e spesso le inchieste giornalistiche valorizzato le attività illecite, poste in essere da alcune soggetti, tralasciando invece, di porre in evidenza la vera ricchezza e la varietà produttiva nazionale e le difficoltà competitive da parte degli onesti.
Pasta, pizza, caffè, olio, tutti prodotti che, non solo in termini di materie prime, ma di capacità di trasformazione delle stesse, rappresentano l’eccellenza del Made in Italy, su cui tanto si fatica nella tutela all’estero. Abbiamo l’ItalianSounding e ed il falso Made in Italy, che danneggiano le nostre imprese, i nostri lavoratori, le nostre esportazioni, il nostro paese. Noi invece di valorizzare e spiegare le eccellenze produttive del nostro Paese, preferiamo valorizzare sempre quel che abbiamo di negativo, alimentando continuamente un clima di dubbio e sospetto.
I programmi d’inchiesta sono importanti, non me ne voglia, perché serve comunque qualcuno che approfondisca, segnali le irregolarità, informi e formi indirettamente i consumatori e gli operatori coinvolti, ma siamo convinti che certe impostazioni non corrano il rischio di scadere in un allarmismo da strapazzo, privo di vere notizie, che dimentica la capacità fondamentale che contraddistingue il consumatore normalmente avveduto, la capacità di scelta?
Siamo convinti che ciò che rimane di questa esaltazione della negatività, del pejus, dei singoli non echeggi all’estero unicamente come negatività delle nostre produzioni nazionali e sia poi un utile alibi per denigrare il vantaggio competitivo che, in termini di storia e immagine percepita, ci consente con grandi fatiche di lottare sui mercati internazionali?
Siamo convinti che la capacità del mercato di autoregolarsi non esista e che servano per forza certificazioni e controlli e nuova burocrazia per garantire un prodotto di qualità, quindi che il consumatore da solo non sia in grado di riconoscere e scegliere la qualità ed al contempo le autorità sanitarie non già sufficienti a svolgere la propria attività se fosse fatta in modo collaborativo (quando ne hanno la competenza) e non solo repressivo?
Tra pochi mesi, all’EXPO2015 il grande tema sarà l’alimentazione, l’Italia sarà al centro dell’attenzione internazionale anche per le sue capacità di produrre e trasformare il cibo in nutrimenti di qualità. Ci si aspetta che l’Italia sia il Paese dove si indichi il futuro dell’alimentazione per i prossimi decenni, così come fa già da secoli. Visti i tempi che corrono, forse sarebbe necessaria una maggiore coesione nazionale e senso di responsabilità da parte di tutti ed evitare di trasformare un problema di ordine sanitario locale in un allarmismo nazionale e forse internazionale su un prodotto simbolo dell’italianità.
Lascio a lei le mie provocazioni, con sincera stima.
Stefano Marotta
Napoli, 8 ottobre ’14
Le pmi rispondono a Report
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