Tempo di bilanci per il numero uno dell’alimentare mondiale. I ricavi consolidati di Nestlè si sono attestati a 91,6 miliardi di franchi svizzeri (85,8 miliardi di euro dopo la rivalutazione del cambio operata dalla Banca centrale svizzera), in calo dello 0,6% sui conti dello scorso anno. La crescita organica sarebbe stata, in realtà, del 4,5% (+2,3% di maggiori vendite che si somma a un +2,2% di crescita dei prezzi) ma i cambi hanno impattato per il 5,5% e il fatturato è così sceso in negativo, nonostante la crescita del valore nozionale degli strumenti di copertura sui cambi. L’inatteso rafforzamento del franco a scapito dell’euro non potrà che peggiorare la situazione nel 2015 se non avverrà un aumento dei listini, ma l’Europa non sembra essere il mercato su cui sbilanciarsi eccessivamente con i prezzi, a patto di non voler rischiare quote di mercato e margini operativi, che nel 2014 sono rimasti sostanzialmente stabili a 14 miliardi di franchi (13,1 miliardi di euro) a livello di ebitda grazie a un leggero calo dei costi.
La Cina sta diventando un mercato complicato per tutte le grandi multinazionali occidentali. Rallentamento della crescita, stretta sulla corruzione, evoluzione dei gusti ed errori operativi vari hanno raffreddato l’entusiasmo iniziale per quello che è il mercato più ambito al mondo. Non fa eccezione Nestlè, che in Cina dispone di ben quattro centri ricerca e una trentina di siti produttivi. Il fatturato della Greater China region (Cina, Hong Kong, Macao, Taiwan), il secondo mercato dopo gli Stati Uniti, è salito di un misero 0,3% a 6,6 miliardi di franchi, un valore assolutamente più basso del passato. La società non fornisce altri dati, ma le vendite della zona Asia, Oceania, Africa sono scese a volume dello 0,3% (+5,9% nel 2013) nonostante altri importanti mercati quali le Filippine (maggiore dell’Italia per Nestlè), Indocina e molti Paesi africani abbiano performato bene. I problemi, per ammissione della stessa società, arrivano da Pechino e dintorni dove “bisogna adattare il nostro portafoglio prodotti ai veloci cambiamenti dei consumatori cinesi” si legge in una nota della società e lo stesso amministratore delegato Paul Bulke ammette che la società “ha perso il contatto con i propri consumatori in un mercato che è cambiato come in nessun altro posto al mondo”. Una considerazione che dovrebbero tenere in considerazione tutti coloro che si affacciano a questo mercato, made in Italy in testa.
Nestlè sta cambiando pelle. Un po’ letteralmente, un po’ figurativamente. La cessione di un consistente pacchetto di azioni L’Oréal – il gigante della cosmetica – con un profitto di 4,5 miliardi di franchi e l’acquisto, dalla stessa società francese, del 50% di Galderma – attiva nei prodotti dermatologici – che ancora non deteneva segnano un evidente passo avanti nella strategia della società diventare qualcosa di diverso da una, pur ben diversificata, conglomerata alimentare. Sono stati acquisiti anche dei diritti di commercializzazione negli Usa di prodotti estetici della Valeant Pharmaceuticals e grazie a queste operazioni, le uniche due degne di nota nel 2014, è stata creata la nuova divisione Nestlè skin health, che insieme a Nestlè health science ormai producono un fatturato pari a 12,3 miliardi di franchi, ovvero 11,4 miliardi di euro al cambio attuale che sono il 13% dei ricavi totali. Peraltro tutte queste operazioni straordinarie hanno permesso agli utili netti di crescere di circa il 40% a quota 14,9 miliardi di franchi (13,8 miliardi di euro) a fronte di risultati operativi che sono stati in calo di un rotondo 20% a causa di un aumento degli oneri straordinari e delle svalutazioni. Il pacchetto di azioni L’Oreal che la società svizzera ha ancora in portafoglio vale agli attuali prezzi di borsa circa 22 miliardi di franchi, più o meno 21 miliardi di euro e rappresenta il salvadanaio per la stabilità futura.
L’altra faccia delle operazioni straordinarie sono le cessioni. L’Oreal a parte, la società non ha venduto nulla di importante lo scorso anno, ma spulciando il bilancio si trovano alcuni riferimenti su ciò che l’azienda ha pianificato di cedere. E riguardano l’Europa, dove la società vorrebbe disfarsi essenzialmente di asset nei prodotti surgelati e nelle acque. Due segmenti di mercato che sono rappresentati anche in Italia e che potrebbero, già nel 2015, vedere novità importanti. Nel bilancio 2014 le perdite nette di questi asset messi in vendita sono pari a 503 milioni di franchi (circa 450 milioni di euro).
E l’Italia come si muove all’interno del grande mondo Nestlè? Le vendite nel nostro territorio sono state pari a 2,1 miliardi di franchi (1,95 miliardi euro), invariate rispetto al 2013. L’Italia è il nono mercato per Nestlè. Il primo sono gli Usa con 23,4 miliardi di franchi, al secondo posto la Greater China come si diceva e poi Francia, Brasile e Germania. Le vendite nei Paesi in via di sviluppo ammontano ormai al 44% dei ricavi totali. L’Europa è al 16 per cento, con 15,2 miliardi di franchi circa.