Ab Inbev dovrà pagare una multa salata per avere dichiarato che la birra Beck’s, commercializzata sul suolo americano, è tedesca, quando in realtà la produzione avviene negli stabilimenti a S.Louis. Una notizia che ha avuto un forte eco in Italia, i cui prodotti alimentari sono spesso vittime di concorrenza ritenuta sleale.
Indicare su una bottiglia di birra che si tratta di una bevanda di ‘Qualità tedesca e prodotta a Brema’, non sarebbe sbagliato se davvero fosse così. Ma si dà il caso che la pilsner non sia prodotta in Germania, bensì da tre anni negli stabilimenti birrai di St Louis, nel profondo Missouri degli Stati Uniti, allora tutto cambia. Per avere quindi indicato un’origine diversa da quella reale, la multinazionale belga Ab Inbev si è vista costretta, a seguito di una class action capeggiata da un gruppo di agguerriti avvocati statunitensi, a pagare un risarcimento di 3,5 milioni di dollari per coprire le spese legali del processo. In base alla sentenza definitiva dei giudici, ogni consumatore americano potrà ottenere 12 dollari se si presenterà con una bottiglia di Beck’s (marchio acquisito da Ab Inbev nel 2002, ndr) recante la dicitura incriminata e, a questo punto, considerata ingannevole. La notizia ha fatto scalpore e potrebbe davvero aprire un importante capitolo contro il cosiddetto fenomeno del ‘sounding’ che colpisce, soprattutto, i prodotti enogastronomici. L’Italia da tempo si batte contro l’utilizzo di riferimenti italiani da parte di molti produttori statunitensi. “Quanto avvenuto potrebbe rappresentare un primo serio passo per contrastare l’italian sounding – ha dichiarato a Food, Riccardo Monti, presidente dell’Agenzia Ice –. Bisogna studiare bene come si sono mossi i legali per vincere la causa e trarne spunto. Si è, inoltre, dimostrato che, a combattere il fenomeno, siano gli stessi consumatori appassionati di enogastronomia. Il movimento dei ‘foodie’ potrebbe diventare un valido alleato sui cui puntare”.
Da notare che è la seconda volta che il gigante belga si trova obbligato a pagare una multa per falsa comunicazione, visto che lo scorso gennaio è stato ritenuto colpevole di avere vincolato una campagna pubblicitaria in cui si dichiarava che la birra Kirin Ichiban fosse importata dal Giappone, quando in realtà la si produce in California.