Quali sono i limiti e i margini di miglioramento del nostro Sistema-Paese? Quali operazioni finanziare occorre implementare per la crescita del food & beverage italiano oltreconfine? Che tipo di relazioni virtuose è necessario stringere con i partner del trade estero? Quali operazioni di co-marketing bisogna attivare per affrontare nuovi mercati e in che modo la sostenibilità può diventare una leva competitiva del made in Italy agli occhi dei consumatori di tutto il mondo? A Expo Milano 2015, nello spazio espositivo The Waterstone di Intesa Sanpaolo, cinque big del settore alimentare hanno scelto ciascuno una parola chiave, in grado di sintetizzare i punti di forza della loro presenza sui mercati internazionali.
Per riassumere la loro filosofia imprenditoriale all’estero Dario Scotti, Francesco Mutti, Francesco Divella, Matteo Zoppas (Gruppo Sanbenedetto) e Zeferino Monini hanno elaborato una sorta di vademecum per chi guarda con interesse crescente ai paesi esteri e per vincere la sfida, più volte ribadita dal Governo italiano, di far passare l’export dell’agroalimentare italiano da 33 a 50 miliardi di euro entro il 2020.
Francesco Divella, procuratore dell’omonimo gruppo pastaio, ha scelto TENACIA per la sua duplice valenza: “Per affrontare i mercati esteri c’è bisogno di tenacia – ha spiegato Divella – come quella del mio bisnonno che ha iniziato questa impresa nel 1890, con un mulino, a cui negli anni si è aggiunto un pastificio e addirittura un biscottificio. Ma la tenacia è anche una caratteristica importante della nostra pasta. Con la tenacia, oggi abbiamo raggiunto una quota di mercato del 10% a volume e siamo diventati protagonisti del settore”.
Per Zefferino Monini, presidente e amministratore delegato della Spa olearia, invece la parola chiave per competere sullo scenario internazionale è PASSIONE, perchè “L’olio è un prodotto che non si può standardizzare, per questo occorre passione. Non siamo industriali, ma artigiani, e quindi dobbiamo appassionarci costantemente rispetto a ciò che facciamo”.
Francesco Mutti, amministratore delegato dell’omonima industria del pomodoro, mette in luce la necessità di muoversi sui mercati internazionali, analizzando le peculiarità di ogni singolo paese. Parla quindi di COMPRENSIONE. “Il mondo non è uno solo, ma occorre declinare i propri prodotti in relazione alle caratteristiche di ogni mercato in cuisi sceglie di esportare, quindi in relazione alle abitudini del consumatore e alle esigenze del trade – motiva Mutti – ma per attivarsi su questo fronte servono forti investimenti, non sempre possibili per le dimensioni aziendali del nostro sistema produttivo”.
Per Dario Scotti, presidente e amministratore delegato del gruppo risiero pavese, l’ingrediente principale nonché indispensabile per aggredire i mercati esteri è il CORAGGIO “che serve per passare dai pensieri alle decisioni strategiche”. Coraggio per Scotti significa da un lato “accollarsi i rischi e dall’altro fare autocritica quando le cose non vanno come vogliamo, sapendo anche fare un passo indietro, se occorre”.
Matteo Zoppas, consigliere delegato del Gruppo San Benedetto, si affida alla parola CULTURA, perché “quando esportiamo un prodotto, esportiamo il nostro saper fare e quindi la nostra cultura, anche se siamo meno bravi degli altri a trasferirla”. L’obiettivo da perseguire secondo il manager è quello di “raccontare meglio il nostro prodotto perché, quando si parla di Italia, nel mondo si parla del prodotto migliore!”.
Ospite in sala, il direttore generale event management di Expo Milano 2015, Piero Galli che ha voluto suggerire alla platea nuovi spunti di riflessione per costruire modelli di business vincenti all’estero: “Per incrementare il valore delle nostre esportazioni occorre imparare a fare marketing di noi stessi e a fare sistema – ha detto Galli – gli imprenditori devono sapersi aggregare; i capitali ci sono, ma occorre saperli investire in competenze. Expo Milano 2015 sta offrendo una vetrina d’eccezione all’italianità: è una grande opportunità per l’imprenditoria e per i prodotti tricolori”.
La sfida che il Governo italiano ha più volte rilanciato di raggiungere i 50 miliardi di euro di export entro il 2020 è ancora ardua, ma lo sforzo delle istituzioni, che per la prima volta hanno investito in azioni mirate in paesi target per valorizzare e promuovere l’autentico Italian food, è colto come un segnale positivo dagli esponenti dell’industria agroalimentare italiana, che però continuano a rimanere scettici.
Se Francesco Divella infatti legge in positivo il fatto che “Per la prima volta Mipaaf, Mise e Ice hanno fatto gioco di squadra per portare il made in Italy nel mondo”, Zeferino Monini rilancia sulla necessità di andare oltre il populismo dell’origine della materia prima per puntare a crescere in quantità oltre che in qualità: “Il nostro settore – esorta l’amministratore delegato della società olearia italiana – ha bisogno di essere disciplinato per moltiplicare le produzioni di qualità, altrimenti aumenta il rischio che le nostre aziende passino in mani straniere”.
Scettico anche Francesco Mutti, convinto che per tagliare l’ambizioso traguardo dei 50 miliardi di export “servano prima di tutto interventi strutturali e investimenti in efficienza per le nostre filiere”.
Dario Scotti si limita a una considerazione di fondo: “se l’Italia è un mercato statico, l’estero rappresenta una grande opportunità per un’azienda che produce riso: un prodotto che sfama il mondo e che sposa la domanda crescente di prodotti salutistici”.
Più critico Matteo Zoppas che punta il dito contro una burocrazia nemica dello sviluppo economico che continua a frenare il grande potenziale del made in Italy all’estero: “La pressione fiscale è ancora troppo elevata – commenta Zoppas – abbiamo un gettito che incide del 20-30% in più rispetto ai nostri competitor”. In tale contesto decisamente poco favorevole all’impresa italiana, ai produttori non resta che continuare a investire in risorse, innovazione e prodotti di qualità, che sempre a detta di Zoppas “sappiamo fare meglio di altri, perché non saremo mai esportatori di commodity”.