In cinque anni ha aumentato il suo giro d’affari del 12%, raggiungendo quota 47,9 miliardi di sterline. Nel Regno Unito la private label è in leggero vantaggio sulla marca industriale nel comparto del food e del beverage non alcolico, con un market share del 52% nel settore retail. Una quota, insomma, che in Italia si ritrova solo all’interno del canale discount. Maanche per i prodotti a marchio britannici l’anno appena trascorso ha registrato trend non certo esaltanti rispetto al passato. Anzi, dopo cinque anni di crescita, il comparto del food e del beverage non alcolico è alle prese con un calo delle vendite a valore pari a 0,8 punti, a causa anzitutto delle dinamiche deflazioniste sui prezzi. Secondo l’ultimo rapporto di Mintel “Private label Food and non-alcoholic drink” aggiornato a novembre 2015, però, questa performance, per quanto negativa, resta notevolmente migliore rispetto al calo generalizzato del mercato alimentare. E, non a caso, la società di ricerche prevede per il 2016 un immediato ritorno al segno positivo, stimando un aumento complessivo del sell out di 12 punti entro il 2020, per un fatturato di 53,7 miliardi di sterline. A ricoprire il ruolo di protagonisti saranno ancora una volta i discount tedeschi Aldi e Lidl, che del resto anche durante il 2015 hanno confermato risultati estremamente brillanti per le loro pl, varando piani di espansione aggressivi e spingendo gli altri player della distribuzione a cambiare radicalmente le loro strategie.Secondo gli analisti lo scenario di deflazione sembra destinato quindi a esaurirsi, considerato anche che nell’ultimo decennio l’incremento dei prezzi è sempre stata una costante in questa categoria. Come in Italia, inoltre, si ipotizzano maggiori probabilità di successo per le gamme premium, dal momento che gli shopper, e in particolar modo gli over 55,avranno a disposizione un piccolo extra da spendere. A meno ovviamente che non decidano di optare per i brand tradizionali. Il 78% degli inglesi, infatti, acquista trasversalmente sia pl di fascia alta che prodotti di marca.
Premium e distintività per battere i discount
Da gennaio a settembre dello scorso anno i prezzi dei prodotti alimentari sono diminuiti del 2,5%, mantenendo una parabola discendente cominciata nei primi mesi del 2014. Una dinamica generata dal calo del prezzo del greggio, ma certamente accelerata non poco dalle politiche promozionali dei big retailer, mirate a limitare, per quanto possibile, la travolgente ascesa dei discount. L’offerta a marchio del distributore, dunque, è gradualmente diventata uno dei pochi settori in cui i player riescono effettivamente a differenziarsi. Adesso, con l’economia britannica in pieno recupero e il considerevole aumento dei salari rispetto alla situazione successiva al 2010, la spesa sembra orientata a crescere in modo significativo nei prossimi cinque anni, se non si verificheranno altri fattori di rallentamento inattesi. Tuttavia, molte abitudini acquisite dagli shopper durante il periodo della recessione appaiono destinate a persistere, sobrietà in primis. Anche perché, tra i clienti di Lidl e Aldi, ben tre quarti dichiarano che non cambierebbero insegna se avessero una disponibilità finanziaria maggiore. Dunque, i big della distribuzione non possono affatto aspettarsi un rapporto di conseguenzialità automatica tra l’aumento dei redditi e il loro business, ma dovranno invece lavorare in più direzioni per soddisfare le aspettative dei diversi target. Come del resto stanno già facendo Asda e Tesco. Un terzo dei consumatori di pl, per esempio, si aspetta che le gamme premium siano più innovative di quelle standard. Tre acquirenti su dieci, invece, pensano che non valga la pena pagare di più per i prodotti a marchio di fascia alta, dimostrando quindi la necessità, per il settore, di compiere un salto di qualità e migliorare ulteriormente l’offerta. Anche perché la metà degli shopper, oltre alla battuta di cassa, è particolarmente attento a confrontare gli ingredienti, a conferma che il prezzo non è affatto il driver decisivo. O quantomeno non più l’unico.Inoltre, quasi un consumer su due eviterebbe un rivenditore se questo offrisse un assortimento a marchio proprio di bassa qualità, mentre circail 75% vorrebbe avere più voce in capitolo nel lancio di nuove referenze. A ciò si aggiunge la domanda di maggiore trasparenza nelle etichette, indispensabile ormai per costruire un rapporto di fiducia duraturo.
La partita si gioca su qualità e innovazione
Se il miglioramento della situazione economica generale è un fattore di ottimismo per la ripresa dei consumi, le abitudini di acquisto consolidate durante gli ultimi anni non sono destinate certo a scomparire rapidamente. Un punto di forza tutt’altro che trascurabile per i discount, concentrati tra l’altro in un processo di valorizzazione delle loro linee a marchio. Uno shopper britannico su tre, d’altronde, è intenzionato a mantenere inalterato il budget per la spesa di food e beverage, pur contando su un maggiore potere d’acquisto. Appena il 18%, poi, acquisterebbe più private label premium, orientandosi in questo casoverso categorie costose, come la carne rossa e la frutta fresca. Tra le varie politiche di pricing, intanto, quella che incontra più gradimento da parte del pubblico resta l’every day low price. In questo contesto, Mintel conferma la necessità per le insegne di distinguersi proprio attraverso la marca commerciale, costruendo accuratamente una percezione di alta qualità. Lo strumento fondamentale resta quindi l’innovazione, seguendo anzitutto le esigenze degli shopper e coinvolgendoli quanto più possibilenei processi decisionali. Oltre a informarli di più sulla provenienza delle materie prime.
Fonte: Mintel