La loro sfida è considerata uno specchio fedele dei tempi. Da un lato il simbolo dell’ecommerce e di un canale che aspira a rivoluzionare lo shopping, proponendo un nuovo modello di business. Dall’altro il leader globale della distribuzione tradizionale, deciso a conservare la sua supremazia fatta di malta e mattoni. Uno scenario che vede sempre più spesso Walmart sulla difensiva, o comunque in affanno per la crescita esponenziale di Amazon, ormai anche nel comparto alimentare. Ma al gruppo guidato dal ceo Doug McMillion rimane ancora un vantaggio competitivo tutt’altro che trascurabile. Si tratta dei cosiddetti food stamp, cioè i buoni pasto assegnati dal Supplemental Nutrition Assistance Program ai cittadini meno abbienti, o che comunque rientrano in alcuni requisiti di reddito. Questi benefits, almeno per un momento, non sono riscattabili su Amazon e vengono spesi in gran parte all’interno di negozi fisici, perché è necessaria la presenza effettiva dei titolari.
I NUMERI – Durante lo scorso anno il governo ha erogato food stamp per circa 70 miliardi di dollari. A utilizzarli sono stati ben 46 milioni di americani, sfiorando quindi il record di due anni fa. Secondo le stime di Bloomberg, Walmart assorbirebbe circa il 18% dei buoni pasto, ricavando così almeno 14 miliardi di dollari. Un giro d’affari che corrisponde al 4% delle sue entrate complessive, pari nel 2015 a 485,6 miliardi di dollari, generati per il 56% dal comparto alimentari. Di sicuro, insomma, una voce rilevante del fatturato, soprattutto in un periodo già segnato da evidenti difficoltà.
POSSIBILI CAMBIAMENTI – Non poche persone negli Stati Uniti ritengono che sia arrivato il momento di permettere il rimborso dei food stamp anche online. Questa misura, a loro dire, potrebbe portare più cibo sano nei quartieri poveri, grazie appunto ai servizi di consegna a domicilio. Amazon Fresh sarebbe pronto a cogliere l’occasione, ma per adesso l’ipotesi non è presa in considerazione dal governo americano.