Le aziende dei sei settori che si rifanno all’Associazione italiana industrie prodotti alimentari (Aiipa) hanno raggiunto nel 2015 un fatturato complessivo che supera i 18 miliardi di euro, con l’export che ha raggiunto quasi i 5 miliardi (+6,3%), ovvero il 27% medio della produzione con una punta del 46% per il gruppo “prodotti vegetali”. I dati sono emersi durante l’assemblea generale nella quale le molte società affiliate hanno fatto il punto sulla congiuntura, col presidente Marco Lavazza, dell’omonimo gruppo del caffè, cui è toccata la sintesi della visione strategica dell’Aiipa.
LAVAZZA: “SONO CENTRALI FILIERA E MASSA CRITICA” – Innanzitutto le filiere: “Il made in Italy non può essere solo quello prodotto con materie prime coltivate esclusivamente in Italia – ha affermato Lavazza, in velata polemica con le associazioni agricole – ma è ciò che viene prodotto grazie alla cultura della trasformazione che nel nostro Paese ha raggiunto livelli d’eccellenza”. Una stilettata anche alle imprese: “Per essere competitivi sui mercati internazionali bisogna crescere di taglia – ha aggiunto Lavazza – perché la massa critica è un elemento discriminatorio per competere sui mercati”, specialmente su quelli più lontani dove ci sono le maggiori chance di espansione futura. Tra le righe l’invito a procedere ad acquisizioni e integrazioni, come la stessa Lavazza ha fatto ultimamente con Carte Noire , al fine di rafforzare la propria solidità e presenza sui mercati esteri.
APPELLO AL GOVERNO: NO ALL’AUMENTO DELL’IVA – Lavazza ha lanciato un auspicio anche al governo e al neoministro delle Attività produttive Carlo Calenda, che in questo momento è il più vicino agli interessi dell’Aiipa ed è stato lodato più volte per il suo operato, “affinchè non faccia scattare le clausole di salvaguardia del bilancio pubblico, che innalzerebbero l’iva nel 2017 e 2018 impattando negativamente sui consumi”, ancora asfittici.
TEMI CALDI: TTIP ED ETICHETTE EUROPEE – All’Unione europea il presidente ha chiesto norme sull’etichettatura degli alimenti che non facciano salire eccessivamente i costi per le imprese e la firma di un accordo Ttip che “salvaguardi le specificità delle produzioni europee e che non svenda un patrimonio di cultura e conoscenza alimentare unico al mondo”. Su questi ultimi due punti è intervenuto anche l’eurodeputato del Pd Paolo De Castro: sul Ttip ha affermato che “è molto difficile che si arrivi a un accordo entro la fine del mandato di Obama (scade a novembre, ndr)” per le differenze che ancora ci sono tra Europa e Usa e per la forte pressione esercitata dalle tante ong che si oppongono. “Se non si chiude in tempi ragionevoli – ha aggiunto De Castro – c’è il rischio che si vada al 2020”. Sull’etichettatura ha invece invitato le associazioni delle imprese alimentari a “non fare battaglie di retroguardia sulle etichette e comprendere quel che sono i nuovi bisogni dei consumatori europei”, sempre più desiderosi di conoscere la provenienza delle materie prime utilizzate per il cibo che consumano.
LE ESPORTAZIONI CRESCONO, LA DOMANDA DI PIU’ – Per Alessandra Lanza della società di ricerche Prometeia “le aziende alimentari italiane devono tornare a fare investimenti per prepararsi a quando i mercati emergenti ripartiranno e non continuare a perdere quote di mercato internazionale come sta succedendo adesso”. Perché le esportazioni delle nostre imprese crescono, ma non tanto quanto la domanda mondiale di cibo. Insomma, per il made in Italy a tavola ci sono ancora molti mari da navigare.