Brexit the days after: c’è chi si allarma e chi getta acqua sul fuoco. Chi prova a disegnare scenari e chi azzarda qualche previsione economica. La giornata che ha sancito l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea è stata piena di dichiarazioni e commenti di ogni tipo sull’esito di un referendum che ha sconvolto ogni previsione. Abbiamo cercato di raccoglierne qualcuno per cercare di fornire una visuale di quello che è il sentiment intorno a questo fatto epocale in relazione alle nostre esportazioni agroalimentari. Tenendo presente che nel breve periodo l’unica minaccia reale è il deprezzamento della sterlina, che renderà più care le nostre merci a meno che le imprese non vogliano assorbire quell’effetto valutario avverso rinunciando a parte della marginalità. Non vi saranno dazi, infatti, fino a che l’uscita non sarà completata, ma poi andrebbero applicati quelli Wto se non si raggiungerà un migliore accordo, che tutti già fin da ora auspicano.
A RISCHIO IL 15% DEL NOSTRO EXPORT – La società di analisi e previsioni economiche Prometeia ha provato a conteggiare l’impatto sull’export: nel caso di dazi standard Wto (intorno al 15%), le imprese dell’alimentare potrebbero arrivare a perdere 450 milioni di euro, ovvero il 14% delle proprie vendite sul mercato nel 2015, nello scenario peggiore. Un contraccolpo importante che potrebbe essere aggravato dalla svalutazione della sterlina.
FEDERALIMENTARE: ITALIA FORTE, UE TORNI A DECIDERE – Per il presidente di Federalimentare Luigi Scordamaglia, invece, nonostante questo clima di incertezza “l’export agroalimentare italiano verso il Regno Unito continuerà a crescere e anche la politica agricola europea non potrà che rafforzarsi con l’uscita di un Paese che spesso si è opposto ad un miglioramento degli standard dei prodotti verso i livelli elevati su cui ha sempre puntato l’Italia”. Nello stesso tempo, però, Scordamaglia non ha risparmiato critiche alle istituzioni europee: “L’armonizzazione della regolamentazione del settore agroalimentare è stata alla base della nascita di un mercato unico – aggiunge Scordamaglia – ma nell’ultimo periodo anche questa è andata progressivamente sfaldandosi con norme nazionali e deroghe su deroghe per una Commissione incapace di decidere. La Brexit è il risultato di una Europa debole e tentennante che, invece di procedere decisa verso un obiettivo di sempre più stretta integrazione politica e sociale, ha fatto un passo avanti e due indietro nella speranza di non scontentare nessuno.
VINI E FORMAGGI I SETTORI PIU’ A RISCHIO – Il settore dei vini è quello che esprime la maggiore preoccupazione: “Il Regno Unito – spiega Sandro Boscaini, presidente di Federvini – rappresenta per il vino italiano il terzo Paese di esportazione e, rispetto a quanto accaduto, siamo davanti ad un rischio reale e concreto di vedere ridefinite quote di mercato e player in un momento in cui il nostro Paese ha conquistato importanti risultati nella crescita in valore del vino italiano all’estero”. Una visione condivisa da Coldiretti secondo la quale quasi una bottiglia di prosecco su tre finisce nel Regno Unito, ma ora che il paese è uscito dall’Unione europea le cose potrebbero cambiare. Proprio nel 2016 la Gran Bretagna è diventata il primo mercato di sbocco mondiale del prosecco, facendo registrare un aumento record del 38% nel primo trimestre dell’anno. Il vino potrebbe essere colpito dai dazi più alti e pari a oltre il 30% del prezzo, e questo ovviamente spaventa i produttori. Anche il settore dei formaggi potrebbe essere molto impattato dall’addio all’Unione della Corona inglese.