Terremoto in casa Parmacotto: la procura della Repubblica di Parma ha ipotizzato per l’imprenditore Marco Rosi ex presidente di Parmacotto e per Marco Delsante ex direttore finanziario della società alimentare il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche per 11 milioni di euro avvenute da parte della Simest, una società della Cassa Depositi e Prestiti che sostiene l’imprenditoria italiana all’estero.
IL CASO GIUDIZIARIO – Secondo la ricostruzione della Procura della Repubblica di Parma e della Guardia di Finanza “attraverso artifici contabili, false attestazioni e la conseguente falsificazione di un bilancio annuale d’esercizio, gli indagati erano riusciti a far apparire una situazione economico-patrimoniale talmente fiorente da indurre in errore una società di diritto pubblico (la Simest) che ha erogato su richiesta dell’azienda stessa, un intervento di 11 milioni di euro”. Dietro mandato della Procura, ieri la Guardia di Finanza ha fatto un sequestro cautelativo (che deve essere confermato) di 11 milioni di euro. Soldi che sono stati trovati quasi tutti nei conti correnti e nella cassa della società Parmacotto. E’ stata poi nominata una commercialista di Roma come amministratrice giudiziaria, al fine di garantire la continuità e lo sviluppo aziendale sino al completo recupero, da parte dello Stato, delle somme percepite dalla società. Questa amministratrice va ad affiancarsi ad altri due amministratori nominati dal Tribunale di Parma per la gestione del concordato in continuità che è in corso. Queste le notizie pubblicate sui giornali.
PARMACOTTO OGGI – Ma cerchiamo di spiegare come stanno veramente le cose in casa Parmacotto. Il presidente è diventato da un anno e mezzo Alessandro Rosi mentre il padre Marco è fuori dall’azienda da lui fondata. Partendo da una salumeria l’esuberante Marco Rosi era diventato imprenditore di successo nel settore dei salumi. Poi l’errore di aprire alcuni ristoranti all’estero e in Italia oltre all’aver pianificato un mega stabilimento in piena recessione dei mercati hanno generato una crisi aziendale. Per questo Parmacotto ha richiesto prima un intervento alla Simest e poi un concordato in continuità che ha permesso agli amministratori di capire se la società sarebbe stata in piedi o no con le proprie gambe visto l’ingente debito accumulato: una cifra intorno ai 100 milioni di euro, di cui circa il 50% con le banche e il restante con i fornitori. Ora dopo la ristrutturazione e la gestione straordinaria, grazie alle capacità del presidente e del reparto commerciale, i conti oggi cominciano a tornare. Si sono ridimensionati intorno a un fatturato di circa 60 milioni e un ebitda pari a circa il 10%. La dimostrazione che la società è in buona salute e può andare avanti con le proprie gambe sono gli 11 milioni trovati nei conti correnti. Come dire, eliminati i debiti pregressi, la gestione attuale genera utili. Per questo i fornitori e le banche hanno accettato il piano industriale a loro presentato. Il fornitore più importante Fimar ha sottoscritto sia l’aumento di capitale sia gli strumenti convertibili (che permettono di convertire in azioni il debito oppure, dopo avere pagato tutti i creditori privilegiati, ottenere il rimborso dei loro crediti) e diventerebbe con l’approvazione dell’omologa il socio di maggioranza. Anche gli altri fornitori di carni hanno sottoscritto gli strumenti convertibili consentendo così di accettare il piano industriale. Anche la Simest, che non aveva fatto un finanziamento ma aveva acquistato una quota pari al 15,6% investendo 11 milioni di euro, sembrerebbe voler mantenere una quota analoga nella futura Parmacotto. Tutto questo è subordinato alla omologa del concordato in continuità, al varo della nuova società e del piano industriale accettato dai fornitori, dalle banche e dai creditori privilegiati e dai dipendenti. Una procedura concorsuale che richiede di pagare 12 milioni di euro ai fornitori privilegiati e altrettanti 12 milioni di euro a quelli chirografari in 5 anni mentre i creditori non privilegiati saranno pagati con una cifra pari al 20% del loro credito. Ora resta da chiedersi: se il sequestro verrà confermato si rischia il fallimento? E perchè è avvenuto il giorno prima della decisione che deve prendere il Tribunale di Parma per omologare o meno la procedura? Il giudice ha preso tempo fino a ottobre per decidere l’omologa. Ma quanto può resistere la società sul mercato che sappiamo essere in forte recessione per i salumi?
IL FUTURO DI PARMACOTTO – Tutto questo in un momento in cui la società, dopo essere stata ristrutturata e mantenuto quasi tutta l’occupazione (-38 dipendenti in tre anni su 190), sta registrando buoni risultati sul mercato ed è ritornata a lavorare su due turni per gli affettati brandizzati Parmacotto (che incidono oggi sul fatturato per oltre l’80%). Insomma tutto questo verrà vanificato se la omologa non verrà accettata e se verrà confermato il sequestro cautelativo con gravi conseguenze per i fornitori, per i creditori, per i dipendenti, per i nuovi azionisti e i collaboratori. D’altronde sono alcuni anni che il brand Parmacotto è appetibile sul mercato e industriali italiani e internazionali del settore hanno manifestato il loro interesse a rilevarlo. Un fallimento sarebbe la fine della società e del piano industriale. Ma occorre aspettare ancora per sapere quale sarà il destino di Parmacotto.