di Antonella Ciancio, reporter da Washington DC
La crescita nel mercato americano continuerà nonostante le promesse politiche protezioniste del Presidente eletto Donald Trump. Almeno fino a quando la qualità dell’agroalimentare italiano rimarrà competitiva in termini di prezzo e di appeal sui consumatori. L’elezione del candidato Repubblicano Donald Trump può aver sorpreso i sondaggisti e molta parte dell’opinione pubblica, che aveva puntato sul candidato Democratico Hillary Clinton. Eppure, le aziende di Italian Food con una forte presenza nella più grande economia mondiale non vedono il tycoon come una minaccia.
PUNTARE SULLA QUALITA’ – “Per quanto riguarda il nostro business e l’export negli USA, le politiche protezioniste non mi preoccupano”, ha riferito Marco de Ceglie, US chief executive di Salov, produttore di olio d’oliva meglio conosciuto con il suo brand Filippo Berio. Anche se è presto per delineare l’impatto che le politiche di Trump avranno sulle esportazioni alimentari negli Stati Uniti, c’è fiducia che l’annunciata agenda anti-trade del miliardario colpirà in prevalenza i giganti dell’industria e della manifattura come la Cina, che viene vista come un concorrente sleale e aggressivo. Diversa è la posizione dell’Europa e dell’Italia in particolare, storico partner commerciale degli US. “Speriamo che i consumatori americani continuino ad apprezzare la qualità del cibo italiano, così come la moda, le automobili e molto ancora”, ha affermato Alfredo d’Innocenzo, director of business development di Lavazza nel Nord America.
UN MERCATO COMPETITIVO – Nella sua campagna, Trump ha sostenuto che avrebbe riportato l’America al primo posto nel mercato globale. Da qui la promessa di staccare la spina al controverso accordo commerciale TPP, firmato dall’amministrazione Obama con alcuni Paesi asiatici (Cina esclusa). Molti in Europa temono che le ambiziose negoziazioni transatlantiche per il TTIP possano fare la stessa fine. “Trump ha intercettato un profondo risentimento dei lavoratori americani, che hanno perso il proprio posto di lavoro a vantaggio di quelle nazioni che abusano di pratiche commerciali controverse (la manipolazione della valuta, lo sfruttamento della forza lavoro, tassazione e legislazioni agevolate ecc.)”, ha affermato de Ceglie, contattato da Food. “L’Italia non fa parte di questa categoria, anzi. Noi esportiamo prodotti di qualità da una nazione che sembra fare di tutto per sfavorire l’industria, attraverso tasse, leggi e burocrazia”, ha aggiunto.
COME CONFRONTARSI CON LE IMPRESE AMERICANE – Se realizzata, la promessa fatta da Trump di riportare lavoro negli USA e sostenere l’impresa nazionale renderà più competitivo il mercato per i player esteri, che si troveranno a concorrere con gli avvantaggiati produttori locali. All’interno di questo scenario, le industrie italiane del settore agroalimentare subirebbero una pressione ulteriore: nel tentativo di contenere i prezzi mantenendo qualità e innovazione, vedrebbero ridursi i propri margini di guadagno. “Ovviamente, se l’amministrazione Trump desse una spinta decisiva alla competitività del sistema americano (abbassando la tassazione, riducendo la burocazia e promuovendo una forte politica energetica e delle infrastrutture) potrebbero esserci delle criticità per noi. Ma non si tratta comunque di protezionismo”, ha affermato de Ceglie. “Il settore agroalimentare italiano continuerà a fare bene negli USA se riuscirà ad offrire prodotti di qualità a prezzi interessanti”. Anzi, in un’ottica ottimistica, un Americano medio che vedesse aumentare il proprio reddito grazie alle politiche del tycoon potrebbe persino spendere di più in cibo italiano di premium. “Io sono un ottimista di natura e continuo a vedere molte opportunità in Nord America. Puntare sulla qualità dà sempre risultati, a lungo termine”, conclude D’Innocenzo di Lavazza.