L’industria italiana del caffè nel 2015 vale 4,17 miliardi di euro, in crescita del 6,25% sul 2014, secondo un’analisi sui bilanci appena pubblicata da Competitive Data, una società specializzata nella realizzazione di ricerche di mercato e nella consulenza strategica di marketing, che ha sommato i conti delle prime 257 aziende presenti nella Penisola che trasformano la materia prima per produrre le miscele da casa o da bar. Un comparto sicuramente importante del made in Italy alimentare, con una forte connotazione iconica nel mondo occidentale dovuta all’”espresso”, che produce però ricavi cumulati inferiori alla sola Jacobs Douwe Egberts, gigante europeo del caffè (la proprietà è riferibile, attraverso una serie di holding, a Jab holding e Mondelez International,) accreditato di oltre cinque miliardi di euro di ricavi.
IL NORD EST GUIDA LA CRESCITA PER RICAVI … – L’area dove si produce il maggior fatturato cumulato è il nord ovest, patria di Lavazza e Caffè Vergnano, con 2,05 miliardi di euro, seguita dal nord est di Massimo Zanetti beverage group e illy con 1,27 miliardi. Al terzo posto il sud di Kimbo con 535 milioni e per finire il Centro, che non ha grandi player, con 307 milioni. Nella classifica per vivacità della crescita le cose cambiano: nel 2015 l’area che ha visto la maggior crescita di fatturato è il nord est (+8,36%), seguita dal sud (+7,71%), dal centro (+7,54%), e dalle aziende del nord ovest (+6,24%).
…E QUELLA PER EBITDA – Il nord est è anche l’unica area nella quale cresce la marginalità operativa, un indicatore fondamentale per conoscere lo stato di salute di un’impresa o di un’industria, come in questo caso. Nel nord est si registra una variazione positiva del margine operativo lordo (ebitda) dell’1,56%: non molto, ma buono se calcolato ai cali del centro (-7,4%), e soprattutto di nord ovest e sud, che hanno ceduto rispettivamente del 30,5% e 32,4 per cento. Un’industria, quindi, che sembra meno capace di estrarre valore da un prodotto divenuto simbolo della nostra cultura alimentare, probabilmente perché troppo orientata al difficile mercato interno ed esposta alla volatilità dei prezzi della materia prima. C’è da dire che il calo del nord ovest è dovuto molto alla negativa performance operativa di Lavazza (l’ebitda consolidato 2015 del gruppo torinese è sceso del 35% a 146,7 milioni di euro), che ha visto scendere di molto i suoi margini a causa dei negativi esiti del trading sul caffè verde. La minor redditività del 2015 è misurata anche dal Roi (Return on investments) medio delle 257 società, che è stato del 8,52% nel 2015, in calo rispetto al 10,13% del 2014, quando aveva segnato un leggero rialzo rispetto al 9,26% del 2013.
GRANDE E’ MEGLIO, SE SI PARLA DI SVILUPPO Dall’analisi emerge che la dimensione d’impresa non è indifferente rispetto al suo sviluppo: raggruppando le aziende per classi di fatturato emerge che la crescita maggiore è nelle aziende con un giro d’affari superiore ai 30 milioni di euro (+7,48%), mentre le imprese con fatturato compreso tra i 10 ed i 30 milioni registrano la crescita minore (+3,92%), e quelle con fatturati inferiori ai 10 milioni registrano un incremento del 4,17%. Valori, questi ultimi due, piuttosto simili. Aziende di maggiore dimensione riescono, quindi, ad avere la meglio su questo mercato che necessita probabilmente di una fase di concentrazione, data la sua dispersione d’impresa.
E’ poco significativa la crescita degli utili netti cumulati, pari a 884, 1 milioni di euro, più che triplicato rispetto al 2014 (+328%), ma sui quali incide il maxi utile netto di Lavazza (802 milioni) dovuto alla plusvalenza sulla vendita del pacchetto di azioni Keurig Green Mountain, società acquisita a da una filiale proprio di Jab Holding.