Gli Stati Uniti non si inchineranno più al resto del mondo sul commercio (estero) perchè il presidente Trump intende agire. Sono questi i toni con i quali l’amministrazione Trump, per bocca del segretario al Commercio Wilbur Ross, ha ingaggiato la battaglia con le altre grandi aree economiche del mondo in tema di scambi commerciali. Toni duri e sbrigativi, fuori dall’etichetta diplomatica tipica di certe dichiarazioni. Siamo in una guerra commerciale, ha sottolineato il 79enne ex imprenditore, fedelissimo del presidente, ci siamo da decenni. La sola differenza è che ora le nostre truppe sono finalmente passate all’attacco. Non abbiamo accumulato un deficit commerciale per caso.
Trump: basta con questi disavanzi USA
Queste dichiarazioni sembrano rafforzare l’idea di Donald Trump di voler riequilibrare la bilancia commerciale americana, in deficit per 500 miliardi di dollari circa l’anno, agendo direttamente sui dazi e sulla tassazione all’ingresso dei beni esteri per favorire le produzioni interne. Si tratta di una partita globale, e gli strali americani non sono certamente diretti all’Europa in prima battuta. Il bersaglio grosso è la Cina, che da sola vale 347 miliardi di dollari di disavanzo commerciale degli Usa nel 2016. L’Unione europea è la seconda della lista: con l’Ue, l’America accumula 146 miliardi di dollari di deficit commerciale di cui 64 solo con la Germania. Poi viene il Giappone, con 63 miliardi di dollari. Non a caso queste sono le prime nazioni citate da Trump, insieme a Messico e India, tra quelle con le quali bisognerà rivedere qualcosa. Ci sono anche l’Italia, che ha un avanzo con gli Usa di circa 23 miliardi di euro, e la Francia, nella lista di sorvegliati speciali, ma noi rappresentiamo un problema minore.
L’UE bersaglio per l’agroalimentare
In questo quadro si inserisce la disputa con l’Unione europea, che potrebbe sfociare nell’aumento dei dazi (i nostri beni alimentari sono già sottoposti a dazio) fino al 100% del valore dei beni di una lista di 90 prodotti tra i quali ve ne sono più di 75 alimentari. Tra questi le acque minerali (il che vuol dire soprattutto Sanpellegrino, brand Nestlè) e le conserve di pomodoro, ma anche le barrette di cioccolato, i tartufi e le castagne. Prodotti che valgono 250 milioni di export negli Usa e che potrebbero essere parzialmente a rischio se si dovesse partire con i dazi. Il condizionale è d’obbligo, perchè nessuna decisione è stata presa in questo momento.
Olio e vino non sarebbero colpiti
C’è chi ventila che altri settori siano a rischio, come le carni lavorate ad esempio, che valgono oltre 100 milioni di euro nel 2016 per l’Italia e che solo da poco hanno visto qualche apertura dopo anni di blocco dovuto a motivi fitosanitari, da sempre giudicati pretestuosi. Resterebbero fuori dai dazi, invece, prodotti più caratterizzanti come olii e grassi (quasi 600 milioni di export dal Belpaese, di cui il grosso è l’olio evo), i formaggi (quasi 300 milioni), i prodotti da forno e farinacei (pasta & co, 350 milioni) e soprattutto il vino, che da solo vale circa 1,7 miliardi di euro nel 2016.
USA: importate più carne americana
Perchè questa minaccia alla Ue? Tutto nasce dal contenzioso per l’import di carni in Europa. Gli Usa vorrebbero poterne esportare grosse quantità ma la Ue ha sempre opposto un divieto che si regge sul bando agli animali allevati grazie all’uso di ormoni. Il contenzioso è datato 1998 e nel 2009 la Ue aveva acconsentito all’entrata di carne libera da ormoni, ma secondo gli Usa quest’apertura non si sarebbe mai concretizzata realmente. La Ue, che ha subìto una procedura di infrazione in sede Wto per questo motivo, non vi avrebbe mai messo riparo secondo Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare, che ha chiesto un’apertura concreta verso le carni americane per evitare l’innescarsi di una guerra commerciale vera e propria. Per il senatore del Pd Massimo Mucchetti la Ue dovrebbe rispondere ad un’eventuale mossa americana in tal senso, introducendo una web tax che faccia pagare le imposte dovute ai giganti della tecnologia americana come Apple, Google, Amazon ecc. Ma forse la via della battaglia a tutto campo non è la più auspicabile, perché non è detto che l’Europa, un’area adesso economicamente debole, ne uscirebbe vincitrice.