La catena americana di caffetterie Panera Bread è l’ultima preda di Jab Holding, l’investment company lussemburghese decisa a diventare in poco tempo un colosso del settore alimentare, in grado di sfidare giganti come Nestlè, Unilever e Starbucks. Un percorso simile a quello di 3G Capital, anch’essa una holding di partecipazioni che ha base a San Paolo in Brasile e braccio operativo negli Stati Uniti. Sono entrambi nomi poco noti al grande pubblico, ma si stanno dimostrando dei formidabili motori di aggregazione e ristrutturazione di pezzi di industria del food & beverage e della distribuzione, tanto da diventare essi stessi i nuovi colossi del settore. Giganti discreti che si nascondono dietro sigle e ‘company name’ piuttosto impersonali e slegati dalle loro miliardarie conquiste. In altri termini, delle cabine di regia silenziose ma molto, molto voraci.
Un’operazione da 7,5 miliardi di euro
Panera bread, quartier generale a Sunset Hills nel Missouri, fondata nel 1987 e attualmente quotata al Nasdaq, è una delle maggiori storie di successo tra le catene di caffetterie americane, con circa 2000 punti di vendita e un’offerta che ormai spazia ai bagel (panini) e a piatti veloci, il tutto nella fortunata formula del ‘fast casual’, che ha avuto uno sviluppo impressionante negli ultimi anni. Fattura circa cinque miliardi di dollari, impiega 100 mila collaboratori, ed è il concorrente più credibile di Starbucks negli Stati Uniti, tanto che quest’ultima si era fatta avanti per acquisirla ma non aveva fatto i conti con l’offerta lussemburghese. Jab Holding, infatti, per averla ha messo sul piatto ben 7,16 miliardi di dollari in contanti (7,1 miliardi di euro) più l’accollo di debiti per 340 milioni, per un totale di 7,5 miliardi che formano la cifra dell’accordo con il cda della ‘preda’. Ovvero la seconda operazione per grandezza dopo quella di Burger King (proprietà di 3G Capital) sulla catena di caffetterie Tim Hortons.
Jab, la holding della ricca famiglia Reimann
Che cos’è Jab Holding? La società lussemburghese ha da poco depositato il bilancio 2016 che Food ha potuto visionare. Non ci sono molte informazioni, com’è usuale per le ‘investment identity’ che sono esentate dal pubblicare un bilancio consolidato (e che hanno sede nel Granducato), ma qualche ordine di grandezza interessante lo si può trarre. Pur essendo a capo di un impero del largo consumo, Jab ha solo sette dipendenti. Il “principale azionista” secondo la dizione del bilancio è la società austriaca Agnaten, una sigla riferibile ad una parte degli eredi di Albert Reimann, che è stato uno degli uomini più ricchi e influenti di Germania, morto nel 1984 e discendente della famiglia Benckiser, proprietaria della multinazionale inglese Reckitt Benckiser nota anche in Italia per i molti prodotti per la cura della persona e della casa (Napisan, Durex, Ava, Sole, Glassex ecc). L’azionista di minoranza è l’olandese Donata Holding, controllata a sua volta dall’austriaca Lucresca.
Scende il suo peso nel personal care…
Jab, e le società che controlla a vario titolo, trae la sua forza finanziaria dalla capacita di raccogliere enormi capitali, sui quali non vi è completa disclosure come ha anche sottolineato la società di rating Moody’s, per poi investirli in società con un’ottica di lungo termine. Ha partecipazioni molto diversificate nel settore del largo consumo ma si sta rifocalizzando nel settore alimentare, dove punta a diventare un leader mondiale, quantomeno in alcuni comparti. Ha una storica partecipazione del 10,5% in Reckitt Benckiser, che proprio nel 2016 è scesa all’8,1% dopo la vendita di un pacchetto di azioni da cui la società ha ricavato 1,39 miliardi di euro utili a nuove acquisizioni come Panera. Di Coty, gigante americano della cosmetica di lusso con qualche difficoltà contingente, la società non ha più la maggioranza, ma solo il 36% circa, dopo la fusione di quest’ultima con una divisione di Procter & Gamble che ne ha diluito l’azionariato. La quota di Coty è iscritta in bilancio per 4,7 miliardi di euro (Reckitt vale ora 4,55 mld). La società possiede anche i marchi Jimmy Choo e Bally nelle calzature e Belstaff nell’abbigliamento, un piccolo polo del lusso insomma, che vale 770 milioni di euro.
… mentre sale nell’alimentare
E’ nell’alimentare, però, che Jab si sta muovendo negli ultimi anni, prima attraverso la creazione, nel 2015, del campione mondiale del caffè Jacob Douwe Egberts (Jde) in joint venture con Mondelez international che ne ha il 49 per cento e poi con la successiva acquisizione dell’americana Keurig Green Mountain, proprietaria del più utilizzato sistema a capsule in America. Le due società sono sotto la subholding Acorn di cui Jab controlla il 58% e che è valorizzata 8,6 miliardi di euro. Panera sarà invece inserita nella sub holding Jab Beech, di cui la Jab Holding controlla sempre il 58% e che già possiede brand di caffetterie e dolci tra le quali Caribou Coffee, Einstein Noah, e Krispy Kreme, famosa nel mondo per le sue ciambelle (doughnuts). Il tutto per una valorizzazione pari a 2,15 miliardi di euro. Sembre del gruppo fanno parte i marchi Nord europei ‘Espresso house’ e Baresso, che valgono insieme 150 milioni di euro.
Attività per 20 miliardi di euro
Complessivamente, le attività Jab Holding sono valorizzate in bilancio per 20,9 miliardi di euro (senza contare Panera), una cifra enorme e cresciuta di circa 3 miliardi rispetto al 2015 e finanziata da terzi “solo” per 3,7 miliardi. La gestione delle partecipazioni ha fruttato nell’ultimo anno 1,39 miliardi di euro tra dividendi e rivalutazioni al netto delle svalutazioni (2,79 mld nel 2015), sulle quali la società non ha pagato tasse grazie alle norme lussemburghesi. A capo delle operazioni il terzetto di senion partner Peter Harf, Bart Becht e Oliver Goudet. Il primo è stato chairman del cda di Ab Inbev , carica che attualmente ha lasciato a Goudet. La società birraria, com’è noto è riferibile ai soci di 3G Capital, la società brasiliana proprietaria di Burger King e Kraft Heinz (insieme a Warren Buffett), che aveva lanciato un’offerta da 143 miliardi di euro per acquisire Unilever, poi saltata. Cifra enorme, come la fame di conquista di questi nuovi attori sulla scena mondiale del food. Che, si può star certi, non si fermeranno, sull’onda di un fiume di denaro mai visto in questo settore per finanziare gli investimenti.