Da lungo tempo la birra ha due compagne di strada nel mercato italiano. La prima – a tavola – è la pizza, in passato principale se non unica occasione di consumo. Per fortuna ora non è più così: l’abbinamento resta consolidato nelle abitudini degli italiani, ma da esso la birra si è anche emancipata, conquistando spazi “a tutto pasto”. La seconda presenza costante – a scaffale – è quella delle promozioni, assai intense, tanto da incidere per circa metà delle vendite di birra nel canale moderno. Ed è questo il tema messo in luce da Food Insider, l’iniziativa nata dalla partnership tra Doxa – prima società indipendente di ricerca e analisi di mercato in Italia – e il mensile Food: un approfondimento sul mercato della birra, sulle tipologie di attività promozionali operate dai retailer italiani ed europei a sostegno della categoria. Un lavoro ampio, che Doxa ha condotto in due momenti e ambiti diversi. La prima ricerca – che possiamo definire in-store – è stata effettuata lo scorso febbraio in 1.042 supermercati e ipermercati di 11 Paesi (Belgio, Francia, Germania, Italia, Olanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Svezia, Turchia) attraverso rilevazioni in crowdsourcing delle promozioni presenti nei punti vendita. La seconda analisi Doxa è stata invece realizzata a maggio e si è focalizzata a livello italiano sul versante at-home, indagando il consumo di birra, le preferenze in termini di marca e quanto impatta la presenza di promozioni nel processo di acquisto.
Il valore della categoria
Il mercato della birra in Italia vale – in base ai dati Iri – 1.189 milioni di euro in iper, super e libero servizio piccolo da 100 a 399 mq (a.t. a ottobre 2016). Cosa sta accadendo e accadrà nel 2017 dipende anche dal meteo e da un andamento climatico più o meno favorevole alla stagionalità. Detto questo, si può ipotizzare che a vivacizzare il comparto saranno ancora le cosiddette speciali, che ormai pesano circa un quinto sul giro d’affari totale, con un’incidenza a valore quasi doppia rispetto a quella ottenuta a volume. Un segmento che ha l’indubbio vantaggio di essere il meno esposto alle variazioni di prezzo. E questo ci porta al tema della ricerca Doxa, che ha sondato lo scenario europeo mettendo a confronto il numero medio di promozioni presenti nei quasi 100 punti vendita visitati in ciascun Paese. Vediamo i risultati, riportati anche nelle tabelle che corredano questo articolo.
La numerica delle promo in Europa
Con una media di 6,9 promozioni attive, l’Italia si colloca vicino alla media europea che è di 6,6 promozioni. Dato simile, il nostro, a quello della Polonia (6,7) e notevolmente più basso a fronte del numero di iniziative promozionali rilevato in Regno Unito (15,6) e Olanda (11,6). A chiudere la classifica sono la Svezia (1,6 promozioni attive) e la Turchia, Paese in cui la spinta promozionale è sostanzialmente assente, ma non perché non ci sia consumo di birra. In Turchia è vietato bere alcolici in strada, ma esistono ristoranti e locali dove il consumo è consentito, così come è possibile l’acquisto in supermercati e negozi, con alcune limitazioni di orario. E giusto come curiosità, possiamo ricordare che leader incontrastato nel mercato turco della birra è il gruppo Anadolu Efes, che ha una presenza molto consistente anche in Russia.
Focus sulle attività delle insegne italiane
Scendendo nel dettaglio del panorama distributivo italiano, si evidenziano grosse differenze tra le sette insegne oggetto dell’analisi, avvenuta – è bene ricordarlo – a febbraio, quindi fuori dal periodo di massima stagionalità del prodotto. Colpisce in particolare il dato relativo a Esselunga, nei cui punti vendita sono state rilevate mediamente 14,2 iniziative promozionali, cioè più del doppio del risultato medio italiano che, come già evidenziato, è di 6,9 promozioni. Nettamente sopra media anche Simply (10,1), seguita da Pam (8,5), mentre sotto media sono Carrefour (5,2), Conad (5) e Coop (4). Il minor numero di iniziative promozionali riscontrate in due gruppi leader come Coop e Conad è almeno in parte riconducibile alla politica adottata da entrambi negli ultimi anni, cioè un travaso di risorse dalle attività di scontistica a favore di un posizionamento di convenienza più continuativo? La supposizione è lecita, così come è possibile ipotizzare relativamente a Unes, che mostra un ridottissimo ricorso alla leva promozionale in questa categoria – con una media di appena 0,9 promo attive nel periodo di analisi – un effetto della minor superficie espositiva rispetto a qualcuna delle altre insegne monitorate, combinato al periodo in cui è stata condotta l’analisi. È presumibile infatti che un’analoga ricerca effettuata in un momento di maggior stagionalità – in cui soprattutto le birre del segmento standard hanno anche la funzione di creare ‘traffico’ – mostrerebbe risultati diversi.
Il taglio prezzi resta fondamentale
Ma quali sono le tipologie di promozioni realizzate nei punti vendita italiani? E quanto differiscono rispetto a ciò in cui si sono imbattuti gli autori delle rilevazioni in iper e super di tutta Europa? La tabella riportata di seguito fornisce la risposta, offrendo uno spaccato delle promo per singolo Paese. Il taglio prezzi puro e semplice è stato analizzato tenendo conto della sua entità e fissando la soglia del 25% di sconto per distinguere due classi di attività. In entrambe – esordisce Paola Caniglia, Retail & Crowdsourcing Director di Doxa – l’Italia si colloca nella parte alta della classifica: sconti di importo minore al 25% sono stati segnalati nel 56% dei casi, molto più spesso quindi che nel resto d’Europa, attestata in media al 39 per cento. A superarci sono soltanto l’Olanda e la Polonia, mercati nei quali i tagli prezzo di importo inferiore al 25% hanno fatto registrare un’incidenza rispettivamente del 76% del 60% sulle attività in corso. Stessa cosa per gli sconti superiori al 25%: in Italia erano il 45% del totale attività promo, una percentuale inferiore solo al 72% riscontrato in Portogallo e al 50% della Francia, mentre la media europea è considerevolmente più bassa, perché pari al 26%.
Un errore non ‘raccontare’ il prodotto
Due i generi di iniziative in cui il nostro Paese appare allineato alla media del Vecchio Continente: il classico 2 x 1 (che ha un’incidenza del 15% in Italia, appena sotto la media europea del 16%) e i concorsi a premi, invero assai poco diffusi ovunque. L’impressione di massima è che prevalga in tutti i mercati nazionali una polarizzazione delle attività promozionali, concentrate in due o al massimo tre tipologie. Fa eccezione la Polonia, dove evidentemente i retailer adottano tutte le differenti modalità di promo. Risalta la totale assenza in Italia di esposizioni a tema, che nel novero delle attività prese in considerazione dallo studio appare come quella più in grado di ‘raccontare’ il prodotto. Vogliamo credere che su questo dato abbia influito molto il periodo in cui è stata condotta l’analisi. La categoria birra è ampia e variegata, con dinamiche di vendite al suo interno non sempre coincidenti. Pensare di gestirla lavorando solo sul taglio prezzo rappresenterebbe un’imperdonabile sottovalutazione del suo potenziale – e della sua evoluzione nel tempo – che di certo insegne importanti come quelle visitate nel corso dell’indagine Doxa non possono commettere.
L’indagine sui consumatori
A riprova di quanto questo prodotto sia presente nel quotidiano degli italiani, arriva l’altro sondaggio condotto da Doxa lo scorso mese di maggio. Vero è che solo l’8% del campione ha dichiarato di bere birra tutti i giorni, ma la frequenza di consumo ogni due o tre giorni a settimana coinvolge il 19% dei rispondenti, mentre un altro 33% si concede una ‘bionda’ o una ‘rossa’ un giorno a settimana. Il totale è un 60% di persone che potremmo definire consumatori abituali, a fronte del 23% di bevitori occasionali e di un 17% che invece non sorseggia mai una birra. Una bevanda ancora in larga parte ‘maschile’: gli uomini sono consumatori abituali nel 72% dei casi, dato che scende al 47% tra le donne. Probabilmente la birra sconta un percepito di bevanda calorica – osserva Paola Caniglia – che certo non ne agevola la frequenza di consumo tra le donne. Ma attenzione: una differenza netta, di cui non solo i produttori di alcolici ma anche i retailer dovrebbero tener conto, è quella anagrafica. La ricerca proposta da Food Insider ha infatti approfondito il consumo di birra da parte dei Millennials, operando un’ulteriore suddivisione di questo target in base all’età: 18-25 anni e 26-35 anni.
I Millennials non sono tutti uguali
Cominciamo col dire che tra i Millennials nel loro insieme il consumo abituale è meno frequente: 55% (a fronte di un 28% di consumatori occasionali) contro il 64% degli over 35 (che invece sono consumatori occasionali nel 19% dei casi). Se però segmentiamo il target, scopriamo che questo gap di consumo abituale rispetto alla media complessiva è dovuto tutto alla fascia più giovane, cioè quella compresa tra i 18 e 25 anni. Le tabelle riportate di seguito danno il dettaglio puntuale del peso di ciascun segmento di consumatori, ma focalizzando l’analisi sul dato più eclatante, va evidenziato che i Millennials 26-35 anni con il 59% di consumatori abituali sono allineati al campione totale che si attesta poco più sopra, cioè al 60% di rispondenti. Anzi, i 26-35enni sono più raramente ‘beer rejectors’, cioè non bevitori in assoluto di birra: 13% contro il 17% del totale campione. Di tutt’altro segno le risposte dei Millennials 18-25 anni: tra loro i consumatori abituali sono il 50% (cioè 10 punti in meno rispetto alla media complessiva) e a rifiutare la birra sono il 22% dei rispondenti (5 punti in più del campione nel suo insieme).
Le donne scelgono il vino
L’indagine Doxa è andata oltre e ha quindi chiesto di indicare la bevanda alcolica preferita. E ancora una volta la doppia ‘faglia’ che divide i consumatori in base al sesso e all’età è ricomparsa in tutta la sua evidenza. Il campione nel suo complesso ha espresso una classifica che vede in testa la birra (41% delle risposte), poi il vino (35%) e molto a distanza i superalcolici (8%) e gli amari (5%). A indicare altri alcolici sono stati il 3% dei rispondenti, mentre l’8% si è dichiarato astemio. Lo stesso ordine di arrivo, per usare una terminologia sportiva, si ritrova tra gli uomini, seppure con dati parzialmente diversi: basti dire che la birra ‘vince’ nel 45% dei casi a fronte del 28% delle preferenze accordate al vino. Quest’ultimo però ottiene un risultato nettamente migliore tra le donne – fa notare Caniglia – che l’hanno indicato come bevanda alcolica preferita nel 43% dei casi, mentre la birra è stata citata dal 36% delle rispondenti. Estremizzando, potremmo dire che – a dispetto dei rispettivi generi grammaticali – la birra è maschile e il vino femminile, anche se come vedremo più avanti parlando dei singoli marchi di birra, tale affermazione è solo parzialmente vera, perché ci sono brand che nell’ambito della ricerca hanno ottenuto proprio dalle donne riscontri molto positivi. A livello di curiosità, si può notare come non bere alcolici sia un comportamento più diffuso tra gli uomini partecipanti all’indagine (10%) che tra le donne (6%).
L’età fa la differenza
Il consumo di alcolici non varia però solo in base al sesso, ma anche – e molto – in base all’età, come già più volte precisato. Il primo confronto che ci propone l’analisi condotta da Doxa in esclusiva per Food Insider è quello tra i Millennials, cioè i partecipanti al sondaggio di età compresa tra 18 e 35 anni, e gli over 35. La birra ottiene praticamente lo stesso risultato in entrambi i target, risultando sempre la bevanda alcolica preferita (dal 41% dei Millennials e dal 42% degli over 35, mentre la media del campione totale è 41%). Nel vino le cose cambiano: solo il 30% dei Millennials lo indica come bevanda preferita, a fronte del 39% degli over 35. Per dare meglio il polso dell’oscillazione registrata in questo caso, ricordiamo che il vino è citato dal 35% del campione complessivo. La differenza diventa però enorme nei superalcolici, che sono preferiti da ben il 15% dei Millennials, mentre solo il 2% degli over 35 li ha citati. E non è tutto: il dato relativo ai Millennials è in realtà una media che una volta ‘spacchettata’ – come sapientemente fatto da Doxa – si rivela un po’ bugiarda.
Tra i 18-25enni il consumo è inferiore
L’analisi delle risposte dei Millennials suddivisi nelle fasce 18-25 anni e 26-35 anni riserva infatti interessanti spunti. Ancora una volta la parte più adulta di questo target si rivela assai vicina alla media, da cui invece i più giovani si distaccano totalmente. I primi forniscono una classifica di preferenze sostanzialmente sovrapponibile a quella del totale campione, con la birra in vetta (45% a fronte del 41% del campione complessivo), seguita dal vino (31% vs 35%), dai superalcolici (7% vs 8%) e dagli amari (3% vs 5%). Numeri molto lontani da quelli dei Millennials 18-25 anni, tra i quali la birra è sì la bevanda alcolica preferita, ma con appena il 33% delle risposte. Il vino ottiene il 28% delle preferenze, ma soprattutto – e qui sta il dato più clamoroso – è affiancato dai superalcolici che registrano lo stesso punteggio. Una fotografia che coincide perfettamente con l’immagine che analisi sociologiche e purtroppo a volte anche la cronaca restituiscono in merito all’uso – e abuso – di superalcolici tra i più giovani.
Nuove generazioni, nuovi paradigmi
Due le riflessioni suggerite da queste cifre: a voler guardare il ‘boccale’ mezzo pieno, sembrerebbe che il favore nei confronti della birra aumenti almeno in parte al crescere dell’età e questo – in una società (purtroppo) sempre meno giovane – potrebbe essere un dato comunque positivo per la categoria. Secondo: di Millennials si parla molto nel largo consumo, sia sul fronte industria che retail, ma forse non si tiene sufficientemente in considerazione innanzitutto che il target ha un potere d’acquisto limitato (triste verità, dovuta a dinamiche economiche, sociali e del mondo del lavoro, con cui però bisogna fare i conti) e poi che se alcuni atteggiamenti e predisposizioni – vedi il ruolo della tecnologia nel processo d’acquisto e di consumo o il diverso rapporto con la categoria concettuale del possesso nell’ambito dei beni durevoli – sono sintomatici di un cambiamento di paradigma destinato a durare, altri comportamenti sono invece più legati a una stagione della vita che inevitabilmente tramonterà. Distinguere tra gli uni e gli altri è fondamentale – ma non semplice – per chi produce e vende.
Fedeli sì, ma non a una sola marca
Tornando alla birra, la prima parte di questo approfondimento sulla categoria ha messo in luce frequenza e tipologia delle attività promozionali in oltre 1.000 punti vendita di tutta Europa. Vediamo ora però come impatta la leva promo sul consumatore italiano. Secondo l’indagine Doxa, a farsi guidare sempre e solo da sconti e offerte speciali è il 10% dei rispondenti bevitori di birra. Il grosso della clientela – il 65% del campione – mostra invece una sorta di fedeltà ‘multipla’, cioè ha un ventaglio di marche preferite e si lascia sedurre dalle promozioni solo quando riguardano uno di questi brand di riferimento. Ben un quarto del campione si è invece dichiarato sostanzialmente indifferente alle promo, perché compra sempre e solo le birre preferite a prescindere da eventuali offerte.
Le birre preferite da uomini, donne e giovani
L’ultimo passaggio compiuto da Doxa è stato proprio quello di fare luce sulle birre preferite dai partecipanti all’indagine: Il primo dato che emerge con chiarezza – spiega Paola Caniglia – è la polverizzazione delle risposte, rispetto per esempio al caffè, una categoria oggetto di una precedente analisi di Food Insider. Peroni con il 14% è risultata prima, precedendo Heineken con il 12% e Corona con il 9 per cento. Ma è interessante evidenziare anche le differenze di genere ed età emerse relativamente a ciascun brand. Peroni per esempio è più amata dal target maschile, 20% delle risposte, rispetto a quello femminile che si ferma al 5%; discorso inverso per Heineken, citata dal 16% delle donne e dal 4% degli uomini. Menabrea appare come una birra di tendenza, favorita da un percepito di artigianalità: il suo 7% è frutto di un 11% di citazioni tra le donne a fronte del 4% degli uomini. Inoltre a indicarla come birra preferita sono soprattutto gli over 35 con il 9%, mentre i Millennials 18-35 anni l’hanno scelta nel 5% dei casi. Guardando ancora all’aspetto anagrafico, Peroni incassa più consensi tra i Millennials 18-35 anni, con il 15%, e meno da parte degli over 35 che la indicano nell’11% delle risposte. Lo stesso accade ad Heineken, anch’essa al 15% di preferenze nel primo target e al 9% nel secondo. Va precisato che i numeri dell’indagine sono adatti a disegnare una tendenza piuttosto che a fornire conclusioni definitive, ma sintetizzando potremmo dire che Peroni è emersa da questo studio come una marca più in linea con un consumatore maschio e giovane, mentre per esempio Menabrea risulterebbe preferita da donne più mature. Un’ultima annotazione: le rilevazioni crowdsourcing per definizione coinvolgono persone che indicherei come ‘smart’, perché più abituate all’uso della tecnologia, e che presumibilmente questo approccio evoluto lo mantengono in altri ambiti di consumo. Ecco perché il loro apporto è utile per definire delle tendenze e illuminare il presente, ma con uno sguardo rivolto anche al futuro.