Lo stabilimento Perugina di Nestlè riaprirà i battenti intorno alla metà di luglio, per riprendere la produzione che è stata interrotta in questi giorni a causa dei cicli legati alla domanda. Da mesi i dipendenti di quello che è il più grande sito produttivo italiano della multinazionale svizzera sono in agitazione perchè la società ha individuato 340 esuberi su circa 850 dipendenti, che potrebbero essere licenziati alla scadenza della cassa integrazione straordinaria, prevista per fine giugno 2018. Un taglio netto alla forza lavoro che, sostengono i sindacati, trasformerà una delle più importanti fabbriche dolciarie italiane in una “fabbrichetta” marginale nel settore confectionary della multinazionale. Nestlè, d’altro canto, ha deciso di investire 60 milioni di euro a Perugia – intenzione confermata anche lo scorso giugno – per rilanciare la produzione di cioccolato e fare di Baci Perugina un prodotto internazionale, dopo i primi risultati positivi di export.
IL SOCIO THIRD POINT VUOLE PIU’ REDDITIVITÀ
La società darà effettivamente seguito a questi investimenti, a fronte dei quali ha chiesto un taglio drastico della forza lavoro per ridurre i costi del personale e mettere in efficienza il sito di Perugia? Più in generale, quale sarà il futuro di Nestlè in Italia, mercato dove la società è presente da più di un secolo? Per cercare di dare una risposta, ammesso che sia possibile interpretare correttamente i segnali, bisogna volare a New York dove ha sede il fondo d’investimento Third Point, che ha comunicato nei giorni scorsi di essere diventato uno degli azionisti più importanti della società dopo aver acquisito oltre 40 milioni di azioni, pari all’1,3% di tutto il capitale (l’azionariato di Nestlè è molto frammentato e non esiste un azionista di riferimento). Il fondo ha un obiettivo chiaro: risvegliare l’operatività del gruppo e accrescere la sua redditività. Con la conseguenza, va da se, di far guadagnare bene i suoi azionisti in prospettiva. Il fondo “attivista” ha avanzato al cda di Nestlè una serie di richieste: tra queste un’ampia revisione dei business, la vendita del pacchetto del 23% di L’Oreal, il riacquisto di azioni proprie per sostenerne i corsi in Borsa, oltre a un aumento sensibile della redditività operativa fino ad arrivare al 18-20% dei ricavi al 2020 (ora è intorno al 15%).
NESTLE’ AVVIA UN MEGA BUY BACK AZIONARIO
La reazione di Ulf Mark Schneider (nella foto), da pochissimo amministratore delegato di gruppo e primo leader Nestlè che non ha fatto carriera interna, non si è fatta attendere: il cda ha annunciato che la società riacquisterà titoli per circa 20 miliardi di franchi svizzeri (circa 20 miliardi di euro) nei prossimi tre anni, e lo farà anche indebitandosi. Una mossa in linea con le richieste di Third Point, ma questo vuol dire che enormi risorse saranno spostate da possibili progetti d’investimento a un uso solo finanziario. Schneider ha anche affermato che il focus di Nestlè sarà sulle categorie caffè, petcare, healthcare, acqua e cibi per l’infanzia. Il confectionary (cioccolato e caramelle) non è stato menzionato e anzi, la società ha annunciato di aver messo in vendita una serie di marchi americani di snack che fatturano circa 920 milioni di dollari. Si tratta di caramelle, barrette, gommose che hanno deluso le aspettative di crescita della società, come la stessa ha affermato nel commento ai risultati del 2016, a causa del contesto sempre più competitivo e della bassa crescita. Secondo qualche malizioso osservatore, il desiderio di alleggerire sugli snack arriva proprio dopo la decisione di Ferrero di crescere in modo aggressivo sul mercato Usa, dove ha acquisito anche le attività di 1-800-Flowers.Com nel confectionary e dove cercherà di guadagnare quote di mercato.
IN ITALIA IN BALLO IL FUTURO DI PERUGINA…
Quanto impatterà sull’Italia la revisione globale del business che Nestlè non sembra poter più rinviare, visto che le altre major come Unilever, Kraft Heinz e così via si sono anche loro lanciate in operazioni di ristrutturazione? Negli ultimi anni la società ha alleggerito la sua presenza italiana sia produttiva sia nei marchi: le caramelle Rossana, Ore Liete (marchi già prodotti a Perugia), Motta e Alemagna, i brand nei surgelati come “La Valle degli Orti” e “Mare Fresco” (66 milioni di euro di ricavi stimati), venduti alla tedesca Froste lo scorso maggio, le acque minerali minori come S.Bernardo, Pejo, Recoaro. Prima ancora era stato ceduto il brand Buitoni nella pasta secca e lo scorso anno i gelati europei, compresi quindi anche quelli italiani prodotti a Parma erano finiti nelle joint venture paritaria Froneri creata da Nestlè e il gruppo inglese R&R Ice Cream, già presente in Italia a Terni. Questo processo di pulizia del portafoglio italiano è sufficiente o prosiguirà dopo l’arrivo di Third Point? Perugina, com’è noto, non sta attraversando un periodo particolarmente florido e se vale l’indicazione che arriva dal settore confectionary americano, coerentemente con le linee guida generali che non considerano più il cioccolato come focus globale (non è healthy), non è escluso che il marchio sia messo in vendita prima o poi. Così come, si mormora, è stata sondata la cessione dello stabilimento di Moretta (Cuneo) dove si produce la pasta fresca Buitoni, i sughi e il formaggino Mio. Il solo investimento confermato è quello di Benevento, che diventerà un hub europeo per la produzione di pizze surgelate, con un centinaio di nuovi dipendenti che saranno pian piano assunti e oltre 40 milioni di euro di investimenti per accrescere le linee e spostare quote di produzione dalla Germania. A Benevento si producevano i surgelati ceduti a Froste, che dovrebbero essere prodotti d’ora in poi tra Germania e Polonia.
…MA TUTTE LE ATTIVITA’ SONO SOTTO LA LENTE
Oltre Benevento, e oltre i marchi premium dell’acqua (San Pellegrino, Panna, Levissima, Vera) e il petcare, il resto delle attività sarà probabilmente sotto revisione, sia perchè non rientra nei grandi focus mondiali di Nestlè (ma non sono una regola assoluta che vale in ogni regione), sia perchè il mercato italiano non dà più grandi soddisfazioni, insieme a quello tedesco e quello francese. Anche le attività della sede centrale sono sotto intensa revisione, e potrebbero esserci sorprese. I ricavi prodotti in Italia dal gruppo sono scesi del 2,4% in euro nel 2016, secondo l’Annual review da poco presentato, e la stessa Nestlè Italiana non affronta certamente un periodo d’oro (perdite nette per 15 milioni di euro nel 2015), a differenza di Sanpellegrino che si avvia a superare il miliardo di euro di fatturato e che nel 2015 ha prodotto utili per 98 milioni. La chiave di volta è comprendere quanto e come l’a.d. Schneider vorrà assecondare le richieste dell’azionista Third Point, e quindi chi o cosa si vorrà sacrificare. La banca svizzera Credit Suisse in un report ha ricordato che il focus del ceo è sulla crescita piuttosto che sulla redditività, su cui si stanno invece concentrando Unilever e le altre major del food. Ma potrebbe non bastare, e la ristrutturazione potrebbe toccare forte anche l’Italia, uno degli “anelli deboli” del sistema Vevey.