Secondo AIDEPI (Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane) deve essere garantita la trasparenza al consumatore sulla qualità della pasta, ma la formula adottata nel decreto interministeriale firmato ieri dai Ministri Martina (Agricoltura) e Calenda (Sviluppo Economico) con l’obbligo di indicare l’origine del grano sull’etichetta della pasta – prima ancora di ricevere il parere dell’UE, atteso entro il 12 agosto – è sbagliata, perché lo disorienta e confonde. La qualità della pasta e il reddito per gli agricoltori italiani sono garantiti dagli accordi di filiera.
Trasparenza e competitività
Siamo per la trasparenza verso il consumatore – afferma Riccardo Felicetti, presidente dei pastai di AIDEPI. E infatti molte marche comunicano volontariamente l’origine del grano in etichetta o attraverso altri canali di informazione. Ma questa etichetta non raggiunge nessuno degli obiettivi dichiarati dal Governo. Secondo AIDEPI, questo decreto invece di aiutare il consumatore a fare scelte consapevoli, finisce per disorientare e confondere. Con la dicitura scelta si vuole far credere che la pasta italiana è solo quella fatta con il grano italiano o che la pasta è di buona qualità solo se viene prodotta utilizzando materia prima nazionale. Non è vero. L’origine da sola non è sinonimo di qualità. Inoltre, la nuova norma non incentiverebbe gli agricoltori italiani a investire per produrre grano di qualità con gli standard richiesti dai pastai. Secondo Felicetti, si dà vita ad un inaccettabile paradosso che potrebbe rendere la pasta italiana meno competitiva e rischia di non garantire al consumatore la sicurezza di mangiare la migliore pasta del mondo.
Proposte alternative
La vera soluzione per incentivare trasparenza, qualità e competitività della filiera sarebbe quindi rappresentata dai contratti di coltivazione tra pastai e agricoltori. I pastai si stanno impegnando da anni su questo fronte con l’obiettivo di valorizzare il frumento duro nazionale attraverso buone pratiche agricole e ridotto impatto ambientale. I contratti di coltivazione già stipulati vanno in questa direzione: assicurano una giusta remunerazione agli agricoltori e garantiscono ai pastai grano duro di elevata qualità. Parlare di etichetta sposta l’attenzione dal vero problema: e cioè che il grano italiano è oggi ancora insufficiente a soddisfare le esigenze dei pastai. Importiamo ogni anno il 30-40% del fabbisogno dell’industria della pasta perché il grano italiano non è sufficiente e non sempre raggiunge i livelli qualitativi richiesti – chiude Felicetti. Solo una maggiore disponibilità di frumento italiano di qualità ridurrà la nostra dipendenza da quello estero.