La riscoperta del primo piatto in tutte le sue possibili varianti – uno degli effetti collaterali della crisi dei consumi alimentari – non ha portato i benefici attesi alla pasta di semola tradizionale. Gli ultimi cinque anni hanno visto sul banco degli imputati pure la regina incontrastata delle tavole italiane: a prenderla di mira, a fasi alterne, dietologi e nutrizionisti ‘dubbiosi’ sulle diete a base di carboidrati e allergologi in allarme per la diffusione della celiachia, nonché i media, che sull’origine e sulla qualità del grano duro hanno saputo generare nel grande pubblico più dubbi e incertezze che chiarezza. Il che non ha sostenuto le vendite di pasta di semola, e ancor più la valorizzazione del reparto, dove le tempeste promozionali continuano a imperversare sulla fascia mainstream (in iper e super si sfiora il 50% delle vendite a volume), con parziali schiarite per i formati e i brand premium. A tutto vantaggio delle paste ‘alternative’ – integrali, di kamut, di farro, di quinoa e altri cereali, o anche di legumi –, di quelle gluten free e anche del riso. I tassi a due cifre di crescita annua del sell out di questi segmenti riflettono un’esigenza sempre più sentita e condivisa di salutismo e rassicurazione – che viaggia parallela alla diffusione dell’alimentazione vegetariana e/o vegan – anche da parte di fasce di consumatori più tradizionalisti. Le catene della gdo hanno via via aumentato gli spazi per le ‘speciali’ sui lineari della pasta e le nuove proposte delle aziende – dai big player ai leader regionali, fino agli specialisti – non si sono fatte certo attendere. Cosicché anche l’affollamento di referenze del segmento healthy sta diventando una questione pressante e delicata per tutto il reparto, che meriterebbe ormai una ridefinizione complessiva .
Tutti i numeri
Anche nell’ultimo anno, il trend dei consumi domestici di pasta di semola è continuato a scivolare su un piano inclinato. E più ancora a valore – pari a 1.080,7 miliardi di euro, secondo i dati Nielsen MarketTrack al 26 febbraio 2017 – che a volume, pari a 844.887 tonnellate. All’inizio del 2017 – conferma Michela Maiello di Nielsen – le performance di vendita della pasta di semola hanno registrato ancora un leggero calo. I volumi sviluppati sono diminuiti del -0,7%, e in termini di fatturato i produttori hanno incassato un calo anche più significativo, pari al -2,3%. La maggior flessione del giro d’affari va attribuita soprattutto alla flessione del -1,6% del prezzo medio e a un livello d’attività promozionale che s’è intensificato ulteriormente: negli iper e super circa il 49,5% dei volumi totali di pasta di semola – praticamente un punto in più rispetto allo scorso anno – è venduto attraverso delle attività promozionali. Nella performance delle vendite a valore non è da sottovalutare la dinamica prezzo/canale/area – sottolinea Michela Maiello. Il calo di prezzo si concentra in Area 4 (Sud Italia, Sardegna esclusa), storicamente più reattiva alle attività di taglio prezzo e dove infatti arriva a -3,6 per cento. Ma è nel canale discount che si registra la flessione più marcata a valore, toccando addirittura il -7,5%.