L’America è ripartita, alla grande. Anche i consumi di prodotti italiani vanno forte. Le specialità, in particolare. Dal culatello di Zibello di Negroni al salame di Felino di Veroni al prosciutto crudo di Galloni. Anche per il Parmigiano Reggiano, così come per gli altri formaggi italiani, le vendite registrano buoni tassi di crescita. E la guerra all’Italian sounding, cioè ai formaggi copiati? Il Consorzio di tutela – ha precisato il neo presidente Nicola Bertinelli – ha acquisito il brand più riconosciuto ‘parmesan cheese’. E spiegheremo le differenze fra quello originale e quello falso. Il ‘Made in Italy’ sta tirando anche per il pomodoro e la pasta, anche quando sono prodotti negli Usa ma con ricettazione italiana, come nel caso di Barilla, Rana e Citterio che hanno stabilimenti negli States.
Fancy Food Show
Al Summer Fancy Food Show 2017 gli italiani hanno fatto la parte del leone. E noi di Food, insieme a Universal Marketing e al Fancy Food Show, abbiamo premiato i prodotti più innovativi. Una settantina di retailer americani hanno votato i vincitori del nostro ‘Italian Food Awards Usa 2017’. I nomi dei vincitori e le interviste le trovate su www.foodweb.it e su www.italianfood.net. Ma qual è la strategia vincente da adottare per vendere bene negli States? Una strada da percorrere è quella di conquistare un distributore o importatore importante. Per esempio Atalanta per il food e Winebow o Southern Wine & Spirits per il vino. Per intenderci, Atalanta, il distributore gestito da Tom Gellert e dal suo manager Andrea Berti, fattura 500 milioni di dollari (il gruppo Gellert un miliardo di dollari) e oltre 100 milioni di dollari solo con prodotti italiani. C’è invece chi, in alternativa, ha aperto una filiale commerciale come hanno fatto Lavazza, Illy, Salov, Cirio, De Cecco, Castelli, Villani, Molinari, Ponti, Zonin, Pomì e tanti altri. Mutti, invece, si è alleato con Monini e La Molisana, per vendere ai clienti americani. Delverde, che ha vinto il premio Food per l’innovazione per la pasta, è uno dei brand che sta registrando maggior successo all’estero, grazie all’esperienza internazionale maturata dal suo ceo, Luca Ruffini. Mentre Giuseppe Di Martino, dopo aver acquisito il pastificio Amato e Grandi Pastai, vuole vendere la pasta secca e quella fresca negli States. Come strategia per conquistare i mercati esteri Di Martino ha costituito il consorzio Tradizione Italiana: ne fanno parte, fra gli altri, D’Amico, Fresystem, Kimbo, Casillo, De Nigris e La Doria.
Italia del Gusto
L’altro consorzio, Italia del Gusto, ha una trentina di società che fatturano insieme più di 20 miliardi di euro: Barilla, Lavazza, Sanbenedetto, Parmareggio, Cirio, Ponti, Valsoia, Riso Gallo, Salov e Parmalat, solo per citarne alcuni. Maurizio Forte, il lungimirante direttore dell’Ice di New York, afferma che sarebbe bene che questi consorzi si alleassero e, insieme ad una fiera o ad un’associazione di categoria, avanzassero proposte e progetti all’Ice, proprio come fanno i protagonisti del design e del mobile. Ma non esiste una ricetta unica da seguire per conquistare il grande mercato americano. Auricchio, che negli States ha anche il brand Locatelli, per esempio ha scelto di comprare il suo distributore e con questo commercializzare altri brand, come sta facendo già in Spagna. Bisogna però fare attenzione: negli States sono più coloro che hanno perso soldi rispetto a quelli che sono riusciti a fare business. Per questo è importante appoggiarsi ai partner giusti. Amica Chips, per esempio, che è distribuito da Ranieri, un distributore specializzato in prodotti italiani, è riuscito a entrare in tutti gli Eataly, inclusi quelli di New York. Eataly, gestita da Nicola Farinetti e dal suo manager Dino Borri, è la vera vetrina americana per i prodotti italiani.
Strategie
Sono tanti i buyer, e non solo di catene americane, che vanno a vedere quali prodotti distribuisce Eataly, per poi contattare i produttori italiani e importare le loro specialità. Un piccolo produttore, Master, che propone gnocchi di patate con il brand Mamma Emma, è presente da Eataly ma nel contempo è distribuito da Buon Italia. La strategia vincente per questo piccolo produttore? Far assaggiare gli gnocchi agli americani: dopo l’assaggio le vendite decollano subito. Insieme a Fausto Vecchi di Negroni sperimenterà un’originale ricettazione: i gnocchi ripieni di culatello. Il successo è garantito. Sanbenedetto, che ha vinto il premio innovazione per le bevande, oggi è importato da Terlato e vuole sfidare San Pellegrino di Nestlè, leader di mercato. Anche Valsoia è sbarcata negli Usa e ha un progetto per conquistare quote importanti con i suoi gelati. Negli Usa oggi si vendono più prodotti italiani nella ristorazione rispetto a quelli distribuiti nel normal e modern retail. Ristoranti e pizzerie, caffetterie e negozi Italian bakery si trovano un po’ ovunque. E i numeri sono davvero importanti per il cosiddetto foodservice. Pensate che nel 2016 si sono venduti condimenti, soprattutto per i fast food, per un valore di 1,9 miliardi di dollari. E Unilever, leader in questo mercato dopo aver acquisito Sir Kensington’s, una società che produce maionese e ketchup, ha lanciato un’offerta da 143 miliardi di dollari per comprare addirittura Kraft Heinz. Numeri da capogiro. Anche Ferrero però non sta alla finestra. Ha comprato Fannie May con 80 retail store negli States e un centro distributivo in Ohio e Illinois. Barilla, dopo aver messo a punto un modello di business che funziona nei suoi primi tre ristoranti aperti a NYC, ne aprirà altri negli States. Mentre Giovanni Rana è ancora alla ricerca di un business model replicabile, dopo il ristorante aperto con successo a Chelsea Market, davanti alla sede di Google. Illy invece va in concorrenza a Nespresso aprendo diversi locali, direttamente e in franchising. Mentre Lavazza, dopo vari test in diversi mercati tra i quali USA e India, riparte dall’Italia dove aprirà un flagship store di 300 metri quadri a Milano entro il corrente anno. Basta girare a Soho o a Manatthan per scoprire nuove caffetterie e locali cool, molti quelli a base di frutta e di verdura centrifugata. Ne citiamo alcuni: Olive’s, The Red Fleece Cafe all’interno di Brooks Brothers (di proprietà di Del Vecchio e gestiti da Marco Revedin ex responsabile Cipriani a NY), Breads Bakery, Chobani, Green Pear Café, La Colombe, Jerry Gourmet, Joe & The Juice e Stumptown Coffee Roasters. I negozi oggi più cool dove si vendono prodotti italiani? Zabar’s, Grace’s, Dean & DeLuca e Murray’s, quest’ultimo acquisito da poco da Kroger. Nella distribuzione foodservice imperano Us Foods e Sysco. Nel canale moderno Walmart, Kroger e Costco, per citare solo alcuni dei principali retailer e il più importante wharehouse club. Bello il nuovo punto vendita di Fairway Market a Brooklyn con 13 casse e 200 dipendenti e dove il biologico va alla grande.
Amazon, Whole Foods e la distribuzione del futuro
Il bio va forte a NYC. E la notizia del momento è l’ingresso di Amazon in Whole Foods, il re del bio. Non solo. Amazon sta rivoluzionando tutto il sistema distributivo. Confessa un ristoratore: Fino a ieri acquistavamo tutto dagli agenti e dai rappresentanti, proprio come si fa in Italia. Ma oggi, a parte il vino, su Amazon acquistiamo anche le divise per i camerieri e gli chef, i bicchieri e le posate. Stiamo pensando di approvvigionarci anche di pomodoro, di pasta, di olio, di farina, di formaggi e di prodotti freschi. La rivoluzione è in corso, siamo solo all’inizio. Il delivery oggi va forte. Noi consegnamo pizze e menù interi. Su circa 5 milioni di dollari di incassi annuali, il delivery incide per il 20%. Insomma c’è spazio per tutti. Eataly ci ha aperto la strada. Oggi sono molti i ristoratori che si sono organizzati per servire i clienti direttamente negli uffici e a casa. Grandi cambiamenti ci saranno con l’arrivo non solo di Amazon, ma anche di Aldi e Lidl. Cambiamenti che rivoluzioneranno il mondo del retail americano, il modo di approvvigionarsi da parte dei clienti. Anche le aziende italiane si dovranno adattare. Il sistema distributivo in America, così come anche in Italia, si deve preparare. I clienti andranno dove gli converrà di più acquistare i prodotti e i servizi. In parole povere resteranno i migliori, molti verranno eliminati e i grandi diventeranno sempre più grandi. Ma anche alcuni piccoli, superveloci ed efficienti, potranno crescere.
Nuove tendenze
Altre tendenze? Creare ‘Urban Oasis’ con frutteti e giardini. Anche orti e coltivazioni. Dove? Ma sui tetti di grattacieli ovviamente, visto che gli spazi verdi sono sempre meno disponibili. E i prodotti, frutta e ortaggi, venduti direttamente ai consumatori e ai ristoratori. È il caso di battezzarli non più a km 0 ma a metro 0. Oppure gli Urbanspace Vanderbilt che si trovano, per esempio, anche dentro la Central Station. Sono piccoli spazi, simili a quelli di uno stand di una fiera. Si possono affittare anche come temporary store. Con tanto di bancarelle, simili a quelli degli street food, che però vengono gestite all’interno di spazi comuni. Ci sono anche tavoli in comune per mangiare, mentre il marketing e la gestione viene affidata a terzi e viene pagato solo l’affitto. Per meglio capirci sono equivalenti agli spazi affittati dalla Rinascente ai big del fashion e degli accessori. In questo caso però si tratta di food & beverage. Per il momento nessun brand italiano ha sperimentato questo canale, ma alcuni ci stanno pensando. Un’ultima curiosità: dove si mangia la migliore pizza napoletana a NYC? Da Pizza Arte, dove è possibile anche acquistare i quadri appesi alle pareti. Citiamo, infine, altri locali cool dove mangiare o acquistare prodotti italiani: Agata & Valentina, Di Palo’s, A.L.C Italian Grocery, Al Vicoletto, Don Antonio, Fabbrica, Il Gattopardo, L’Arte del Gelato, Mozzarella e Vino, Ribalta, Piccolo Cafe, Pizzetteria Brunetti, San Matteo, Tarallucci e Vino, Zio, Zibetto oltre al classicissimo ristorante Le Cirque di Sirio Maccioni, attivo da ben 43 anni. E per finire una news dagli States: Marzotto aprirà a Miami, a dicembre, un nuovo format di 3000 mq, vicino a Casa Tua Cucina, zona Brickell. La competizione con Eataly è iniziata. Il mercato americano per i prodotti italiani è ripartito davvero alla grande.
Paolo Dalcò