Lidl Italia torna alla piena titolarità delle proprie operazioni. La sezione Misure di prevenzione del tribunale di Milano ha infatti revocato l’amministrazione giudiziaria disposta lo scorso maggio in quattro divisioni generali della società, quelle di Volpiano (TO), Biandrate (NO), Somaglia (LO) e Misterbianco (CT), forti di oltre 200 punti di vendita sul territorio. La filiale italiana del retailer tedesco era finita, com’è noto, in un’inchiesta di mafia della Dda di Milano dalla quale erano emersi contatti tra un dipendente della società – finito agli arresti domiciliari –, che sarebbe stato avvicinato e corrotto da imprenditori vicini alla cosca catanese dei Laudani in cambio di commesse all’interno della rete di grandi magazzini. L’inchiesta aveva appurato che, tra i servizi in odor di infiltrazione mafiosa, c’erano anche quelli di sicurezza prestati a Lidl dalla Sicurpolice, titolare della sicurezza anche presso il Tribunale di Milano.
Preda facile della criminalità
La notizia della amministrazione giudiziaria era deflagrata con la potenza di un grosso ordigno all’interno del mondo della grande distribuzione italiana: sembrava incredibile che un grande gruppo internazionale, noto anche per la maniacalità dei suoi controlli interni (si ricorderà il caso – censurato – delle cimici nelle sedi in Germania per controllare i dipendenti) potesse essere vulnerabile alle infiltrazioni della criminalità organizzata, ma l’apparente facilità con la quale Lidl Italia è stata approcciata da una società in odor di mafia dimostra quanto sia potenzialmente grande l’osmosi tra imprenditoria sana e criminale, se non si adottano i necessari controlli che vadano oltre quelli puramente formali.
Anche il pm soddisfatto della reazione di Lidl
La revoca della amministrazione giudiziaria, che aveva toccato solo le funzioni di sicurezza, manutenzione e allestimento dei negozi e non l’operatività commerciale, è arrivata poco prima dei sei mesi per cui era stata disposta, con il sì anche del pm Paolo Storari che ha dato il suo parere favorevole alla luce di quanto fatto dalla società per mettere in sicurezza le proprie attività e dopo che le indagini, per quel che è emerso finora, sembrano aver ridimensionato l’intensità dell’infiltrazione rispetto a quanto era emerso dall’ordinanza di custodia cautelare. Il merito, riconosciuto anche dal Tribunale, va anche al team difensivo dello studio legale Dla Piper, composto da Antonio Carino, Alessandra Garzya e da Antonio Martino, che ha lavorato per arrivare il prima possibile a questa soluzione ed evitare una proroga dell’amminstrazione che avrebbe avuto un impatto molto forte sulla reputazione della società, già colpita lo scorso maggio.
Dipendenti sospetti allontanati, collegio sindacale sostituito
Come emerge dal decreto del Tribunale di Milano, che Food ha potuto consultare, Lidl ha dovuto mettere in atto tutta una serie di azioni per convincere il tribunale della volontà di lasciarsi alle spalle questa spiacevole situazione. Si tratta di operazioni che possono servire da esempio per tutto il settore per evitare che in futuro ci siano altri casi. Innanzitutto un atteggiamento di apertura della società verso gli amministratori giudiziari, che è servito per avviare e sostenere il dialogo sulle azioni da intraprendere per affrancarsi il prima possibile da questa situazione. In secondo luogo la presentazione di una querela formale da parte di Lidl verso quei soggetti e società coinvolti nelle indagini per le ipotesi di reato ravvisate ai propri danni, con ciò “volendo sottolineare un’immediata presa di distanza da quelle imprese fornitrici, che risultavano a vario titolo collegate a criminalità mafiosa” si legge nel decreto. In terzo luogo le azioni sui dipendenti, a iniziare da Simone Suriano, ritenuto la persona di collegamento con le entità presuntamente mafiose, oltre ad altri due dipendenti, uno dei quali licenziato e l’altro – responsabile rifacimenti presso la Direzione Regionale di Biandrate – sospeso. Anche il collegio sindacale è stato sostituito, su richiesta del Tribunale, in quanto le indagini avevano scoperto che due sindaci di Lidl Italia – non indagati all’epoca – erano i commercialisti di Alessandro Fazio, ritenuto il dominus della Securpolice. Fazio ha scelto il rito abbreviato insieme ai suoi prestanome e l’udienza per discutere di questa richiesta inizierà il prossimo 2 novembre.
Un nuovo modello di controllo, sui cui vigilerà un super ispettore
Il nodo più importante è però l’adozione di un protocollo di controllo interno conforme alla legge 231 del 2001, quella cioè che disciplina la responsabilità degli enti per gli atti messi in essere dai dipendenti. In altri termini tutte le procedure interne per evitare che accadano fatti del genere, ma non solo. Lidl Italia non aveva un modello organizzativo conforme alla legge 231, ma utilizzava un modello mutuato da quello tedesco, che è stato adesso riadattato per essere conforme al nostro ordinamento. Il regolamento interno prevede che le forniture già sopra i mille euro debbano essere svolte con gara d’appalto e che per quelle sopra a 100 mila euro sia necessario, oltre al certificato antimafia, anche un controllo di una società esterna pure di tipo reputazionale. Vigilerà su tutto un organismo di vigilanza alla cui presidenza è arrivato, da quanto si è appreso, Luigi Magistro, ex ufficiale della Guardia di Finanza ed ex vertice apicale anche all’Agenzia delle Entrate, con fama di “incorruttibile”. Lidl si è adoperata – grazie soprattutto al lavoro della giuslavorista Garzya di Dla Piper – anche per trovare una soluzione ai dipendenti della Securpolice, entrata in una procedura fallimentare dopo l’arresto dei suoi amministratori. Ben 338 di loro (compresi i subappaltatori) sono passati a Mondialpol e a Securitalia grazie anche al momentaneo sostegno finanziario della catena di discount.
Via l’amministrazione, ma fase di rodaggio da monitorare
“In definitiva” scrive la sezione del Tribunale presieduta dal giudice Fabio Roia, “sulla base delle relazioni del Collegio di Amministratori Giudiziari e delle memorie difensive di Lidl Italia, deve prendersi atto della reazione positiva della società alla misura dell’amministrazione giudiziaria, in termini di collaborazione con gli organi della procedura e di concreti interventi adottati ai fini della depurazione dell’azienda dai fattori di contaminazione”, aggiungendo però, che “le procedure necessiteranno di completamento o quantomeno di una fase di testing sul campo, in esito a cui si renderanno probabilmente necessari aggiustamenti dei moduli adottati; tuttavia, confida il collegio del tribunale, che tale attività potrà essere espletata dalla Società in piena autonomia”.