È arrivato a Parma lo scorso 14 novembre, allo stabilimento Barilla di Pedrignano, il tour organizzato da Aidepi per raccontare il “saper fare” la pasta, un’eccellenza che contraddistingue l’Italia nel mondo. In 50 anni, infatti, l’export italiano di pasta è passato dal 3% al 50% e grazie alla Legge di purezza del 1967 la pasta italiana è l’unica che deve contenere solo grano duro di qualità. Negli anni le rese dei campi della penisola sono aumentate, ma la produzione media di 4 milioni di tonnellate annue di grano duro copre solo il 70% del fabbisogno. La restante parte proviene da aree vocate alla produzione di ottimo grano – come Francia, Australia, Canada, Stati Uniti e Messico – che viene selezionato e miscelato grazie all’esperienza dei pastai italiani.
Serve più grano duro italiano
Oggi, un terzo del grano duro italiano non è adatto a fare la pasta a causa di condizioni ambientali, pratiche agricole migliorabili e un’offerta polverizzata. Per questo Aidepi propone accordi di filiera tra pastai e agricoltori italiani, con premi di produzione sulla qualità. L’industria è interessata a sviluppare grano italiano di qualità – ha dichiarato Paolo Barilla, vice presidente dell’azienda e presidente di Aidepi – e attraverso gli accordi di filiera con le aziende agricole si riesce a cogliere l’obiettivo, perché si determinano la qualità e la quantità attesa. Il tema della pianificazione è fondamentale: deve essere di medio-lungo termine e supportata da una collaborazione istituzionale affinché l’integrazione tra industria e mondo agricolo sia fattibile e rapida.
Glifosato al di sotto dei limiti di legge
La qualità della pasta italiana, è stato sottolineato durante l’incontro, non è messa in pericolo dal glifosato, la cui presenza è centinaia di volte inferiore ai limiti previsti dalla legge. L’industria italiana ha stabilito infatti i parametri di qualità e le caratteristiche della materia prima e del prodotto, fissando fra l’altro anche la quantità di proteine che la pasta deve contenere.