Il cibo ha conquistato una nuova centralità nella nostra società non solo perché gli italiani continuano ad avere una quota di spesa per consumi alimentari superiore a quella dei Paesi omologhi, dalla Germania alla Francia al Regno Unito, ma perché è motore di relazionalità, stimola e facilita lo stare insieme. Nel concreto, è epicentro di attività diversificate, dalle sagre agli eventi di degustazione, alle feste locali, alle gite e vacanze mirate, che stanno rivitalizzando i territori sul piano economico, generando redditi ed occupazione e, sul piano sociale, rigenerando relazioni e senso di comunità.
L’enogastronomia smuove gli italiani
I numeri sono impressionanti: 24 milioni di italiani hanno partecipato ad almeno un evento enogastronomico (tra cui 16,1 milioni ad eventi, sagre, feste locali legate in qualche modo al cibo) e 13,7 milioni hanno fatto vacanze, gite in località celebri per l’enogastronomia. Protagonisti principali di questi eventi cibocorrelati sono i Millennials tra i quali ben il 62% ha partecipato ad almeno un evento, mentre la percentuale scende al 49% tra i baby boomers e al 26% tra gli anziani. La coesione comunitaria minuta, quotidiana, vive anche della proliferazione di meccanismi diffusi di creazione di relazioni, tanto più in una società in cui le persone che vivono sole sono praticamente raddoppiate in dieci anni, dove sono saltati i luoghi di relazionalità più tradizionali e le community virtuali stentano a innescare con altrettanta efficacia i processi relazionali che fanno sentire le persone parte di una collettività. Inoltre, non va mai dimenticato che la buona convivialità associata al cibo è una componente dell’Italian way of life altamente apprezzata all’estero, oltre che formidabile meccanismo rivitalizzante per i territori, di cui amplifica l’attrattività.
Non toglieteci il ristorante
Il nesso tra cibo e relazionalità, inoltre, contribuisce a spiegare perché, anche nella fase più cupa della crisi, gli italiani non abbiano mai smesso di mangiare con amici e parenti fuori casa. Tra le motivazioni del mangiar fuori, il 38% indica la voglia di incontrarsi in ambienti non domestici (ancora una volta i Millennials più degli altri), il 20,3% la voglia di svagarsi e non cucinare, il 15% per lavoro e solo il 13,7% per provare pietanze nuove e/o che non si mangiano di solito. I dati confermano quanto rilevante sia la voglia di stare insieme. Non sorprende quindi che il 55% degli italiani preferisca i locali piccoli, con pochi tavoli.
L’importanza dei luoghi del cibo
Se il buon cibo è quel formidabile moltiplicatore relazionale che gli italiani sanno così bene apprezzare, il contesto fisico-architettonico del locale in cui si svolge il pranzo o la cena deve essere funzionale allo star bene insieme. Ecco perchè anche i luoghi della quotidiana o plurisettimanale spesa alimentare diventano contesti relazionali significativi per le persone: non solo i piccoli negozi di alimentari dell’infanzia degli attuali baby boomers e anziani, ma i punti vendita di prossimità della grande distribuzione, che rompono con la retorica del non luogo, impersonale e indistinto. L’assiduità della frequenza con oltre il 46% dei consumatori che si reca presso lo stesso punto vendita, con punte più alte tra gli anziani, rende il passaggio quotidiano nell’unità di vendita della Gdo componente strutturale delle abitudini di vita e, dal punto di vista della relazionalità, il punto vendita non molto diverso dal mercato rionale di un tempo.