Qual è il contrario di ‘veloce’? Una volta era ‘lento’: oggi è ‘morto’. Basta una battuta di Francesco Pugliese, Amministratore Delegato di Conad per sintetizzare la strategia di crescita del gruppo che guida da anni. Chi si ferma è perduto, ci dice. Quindi Conad accelera. Chiude il 2016 con un giro d’affari di 13 miliardi di euro (+5% sul 2017, a fronte di un trend complessivo di mercato del +2,5%, secondo i dati Nielsen Trade*Mis), si avvicina alla vetta del mercato distributivo con una quota del 12,1% e consolida il primato nel canale supermercati, con il 21%. Da almeno tre anni – rimarca Pugliese – siamo diventati anche il maggior cliente per i primi dieci fornitori dell’industria agroalimentare, visto il peso relativo del canale ipermercati nella nostra rete e del non food nei nostri assortimenti, rispetto agli altri player ai vertici del mercato. E visto che l’accelerazione va mantenuta, il gruppo conferma il piano d’investimenti per il triennio 2017-2019 da 1.101 milioni di euro (413 quest’anno, 402 nel 2018 e 286 nel 2019), per nuove aperture e ristrutturazioni, per l’efficientamento energetico dei punti vendita e dei magazzini, per realizzare nuovi centri distributivi. Inoltre imbarca nuovi soci, come la pugliese Disco Verde, che dall’inizio del 2018 porta in dote una rete di 20 negozi a insegna Supermac e Ipermac, tra Lecce e Gallipoli, e un fatturato di circa 150 milioni di euro, rafforzando così la presenza di Conad anche nel Tacco d’Italia. Il nostro impegno è quello di crescere a tassi superiori alla media di mercato – sintetizza Pugliese –. Ma per consolidare una ripresa ancora incerta servono segnali forti: un Governo che liberalizzi i mercati, che faccia a sua volta investimenti e crei più occupazione, soprattutto nelle regioni del Sud, che più faticano ad agganciarsi alla crescita dell’economia.
Il ruolo del retail nel sistema Paese
Parte proprio da qui l’intervista che abbiamo raccolto nel quartier generale di Bologna per conoscere più nel dettaglio piani, progetti e strategie di un player che ha già pianificato un 2018 pieno di novità.
Facciamo una riflessione più allargata sul ruolo del retail all’interno del sistema Paese: la recente iniziativa promossa da Adm ha riunito le diverse voci della distribuzione moderna per chiedere al governo più attenzione al mondo distributivo. Che riscontri avete avuto e che risultati contate di ottenere nel medio periodo?
In un momento, come quello attuale, di crisi della rappresentanza soprattutto in ambito governativo, il mondo della distribuzione vuole recuperare, su questo fronte, funzione e ruolo. Nel nostro mondo finora la rappresentanza ha contato poco sia perché si è frammentata, sia perché in passato ha aggregato attori con dimensioni d’impresa troppo distanti tra loro. Confcommercio, per esempio, riunisce soggetti che con la moderna distribuzione hanno poco a che fare, come le tante pmi del piccolo dettaglio. Risultava quindi difficile farsi promotori di istanze comuni.
Adesso cosa cambia?
Adesso, grazie all’iniziativa di Adm (che riunisce le tre associazioni del commercio: Ancc, Ancd e Federdistribuzione, ndr), abbiamo deciso di contabilizzare e rendere nota la dimensione di valore della grande distribuzione nel nostro sistema Paese, per aiutarla ad avere il peso che merita.
Volete un ministero del commercio?
Potrebbe essere arrivato il momento di pensarci. Se è vero che gli assi di sviluppo del nostro Paese sono da un lato le produzioni industriali agroalimentari e dall’altro i servizi di distribuzione e ristorazione, è altrettanto vero che questi ultimi sono molto meno rappresentati.
Saresti disponibile a scendere in campo in prima persona?
Non necessariamente bisogna scendere in campo direttamente. Fare politica, nel senso più lato del termine, vuol dire occuparsi del bene comune in qualsiasi ambito della società ci si trovi a operare.
Che cosa chiedete al Governo?
Di essere messi nelle condizioni di lavorare meglio, attraverso una serie di misure che vanno dallo snellimento della burocrazia alla riforma del Titolo Quinto per superare le discrepanze normative tra leggi regionali e nazionali. Per non parlare della richiesta di accelerare il processo di liberalizzazione del mercato, incluso lo sviluppo dell’e-commerce, a patto che avvenga a parità di condizioni fiscali e di garanzie di legge. Tutto questo lo chiediamo non per soddisfare un interesse specifico del nostro mondo, ma per migliorare complessivamente le condizioni di una filiera che include anche il mondo agricolo.
Hai recentemente dichiarato che “se nascono gruppi di acquisto nei palazzi delle nostre città è perché le cooperative non hanno saputo rispondere con rinnovato slancio alle nuove esigenze delle persone”: come state lavorando per ritrovare questo slancio e rinverdire la fiducia nel vostro ruolo sociale prima ancora che commerciale?Vorrei allargare il discorso all’intero settore distributivo, che ha per missione quella di intermediare tra mondo agricolo e consumatori: se un cittadino non si sente più tutelato o sul fronte della qualità o su quello del prezzo vuol dire che qualcosa gli sta mancando e le imprese distributive non hanno assolto al meglio il loro compito.
Come si recupera terreno?
Per quanto ci riguarda il terreno non l’abbiamo mai perso perché ci sentiamo cittadini prima ancora che commercianti: siamo radicati sul territorio e partiamo dall’ascolto dei bisogni locali per definire gli assortimenti e segmentare i prezzi. Cerchiamo un contatto a 360 gradi con i nostri clienti per essere un riferimento per loro attraverso tutti i touchpoint di cui disponiamo. Siamo consapevoli che il commercio funziona bene se funziona bene la società in cui si inserisce, quindi valorizziamo i fornitori locali anche attraverso la nostra marca (che non a caso ha una quota del 30% nei nostri negozi), proponendo un’alta qualità a prezzi accessibili.
La comunicazione al consumatore
Che cosa vuole oggi il consumatore?
Da anni sostengo che vuole mangiare meno, ma meglio. E mi fa piacere che oggi questo trend sia riconosciuto da tutti. Noi siamo partiti in anticipo e questo ci ha consentito di chiudere l’anno con una crescita del 5% (composto da un 2,5% a parità di rete, uno 0,5% d’inflazione e un 2% di nuove aperture).
Solo merito di scelte commerciali azzeccate?
Anche di una comunicazione efficace. Abbiamo scelto di comunicare ai clienti i nostri valori, partendo dal claim ‘Persone oltre le cose’. Abbiamo dichiarato che la relazione tra persone è un nostro punto di forza che non si riduce nell’essere ‘gentili’ ed efficienti sul punto vendita, ma vuol dire prendersi cura del contesto sociale e ambientale in cui operiamo, in una parola della comunità.
Che riscontri state avendo da una campagna di comunicazione così attenta a ribadire il ruolo sociale (prima ancora che commerciale) della vostra catena?
Da undici anni seguiamo un metodo consolidato di tracking dell’awareness e abbiamo constatato che mentre le campagne incentrate su temi commerciali registrano grandi picchi di consenso ma per un tempo limitato, le campagne valoriali come ‘Bambolina’ (recente spot televisivo del gruppo, ndr) contribuiscono alla crescita costante dell’awareness. In generale, con i temi valoriali si costruisce più notorietà che con le proposte commerciali.
Che novità ci saranno nel 2018?
Intanto arriviamo dal fortunato spot natalizio girato da Pupi Avati e musicato da Giovanni Allevi, che ci sta dando grandi soddisfazioni. Per il prossimo anno gli investimenti aumenteranno del 3% arrivando a 38 milioni di euro che comprendono a 360 gradi la comunicazione classica su tutti i mezzi, ma anche gli investimenti in cultura, sport, arte, scuola.
A proposito di comunicazione, che spazio date sul punto vendita alla ‘narrazione’ della qualità delle eccellenze alimentari italiane? Noi facciamo già il 30% delle vendite con i prodotti locali: tutti i nostri nuovi negozi hanno banchi del fresco (gastronomia, formaggi e salumi) che enfatizzano le eccellenze locali e l’obiettivo è di dare sempre più ai clienti la possibilità di assaggiare i prodotti. La forza del fresco fa la differenza e attira i consumatori: nel nuovo negozio di Taranto, città in cui trovi a ogni angolo l’offerta di ortofrutta, l’incidenza del fresco nelle vendite del negozio supera il 50%, che è più della media nazionale e questo dimostra che quando agisci bene in termini di scelta dell’assortimento e non standardizzi l’offerta, i risultati arrivano.
Il ruolo del digitale
Ormai tutte le catene distributive riflettono su come gestire l’integrazione tra fisico e virtuale e su come approcciarsi all’e-commerce: qual è la vostra visione e il vostro piano di sviluppo su questo fronte?
Nel 2017 abbiamo lanciato diversi test: Conad del Tirreno ha già 100 punti vendita che garantiscono il servizio click&collect; con un’altra cooperativa stiamo sperimentando il modello ‘supermercato24’; con PAC2000A a Roma stiamo testando il delivery in sette negozi. Quest’attività di e-commerce però la vediamo ancora come un’estensione del servizio più che come un’opportunità di business: in paesi come gli Stati Uniti l’alimentare pesa solo il 2% dell’e-commerce totale, in catene come Kroger un iper da 80 milioni di fatturato registra, come numero record, 233 spese settimanali online. Questo per dire che le opportunità che ci offre il digitale vanno ben oltre il concetto di e-commerce.
Per voi di che opportunità si tratta?
Da questo mese partiamo con una rivisitazione complessiva del sito, dell’app e dei social, che saranno organizzati in modo più sinergico per gestire il contatto con il cliente prima, durante e dopo la vendita. In quest’ottica rivedremo anche la gestione complessiva delle carte fedeltà e dei programmi di loyalty. La grande sfida della digitalizzazione del commercio, prima ancora che sul fronte dell’e-commerce, credo che si giochi qui: nella capacità di gestire l’enorme massa informazioni a nostra disposizione in un unico big data che consenta di clusterizzare i clienti ascoltando le loro richieste e modificando via via l’assetto del punti di vendita in funzione delle loro esigenze. Questo nuovo approccio impatterà molto anche nella relazione con l’industria: l’offerta dovrà essere sempre meno standardizzata e andrà anzi adeguata ai bisogni dei clienti di ogni singolo e diverso bacino d’utenza.
Format e competitor
A livello di format, quali riflessioni state facendo? I vostri competitor hanno provato a reinterpretare completamente il modello dell’ipermercato oggi in crisi: qual è la vostra visione?
Noi abbiamo 26 iper sopra i 3500 mq, la fetta più grossa fatta da negozi tra i 3500 e i 6mila mq e qualcuno sopra i 6mila. A parità di rete, in questo canale registriamo una crescita del 1,95% rispetto allo scorso anno e questo perché abbiamo rivisto spazi e offerta partendo da una maggiore valorizzazione del freschissimo e puntando su un’offerta extralimentare più stagionale che di continuità. Abbiamo studiato dei format con aree di specializzazione rispetto al contesto regionale in cui si trovano. Infine abbiamo attivato una maggiore sinergia nell’extralimentare con Brunelli (patron di Finiper, con cui Conad ha attivato una relazione commerciale, ndr). È vero che proprio nell’extralimentare abbiamo registrato un calo, ma è stato ampiamente compensato dai risultati delle parafarmacie e dall’ampliamento dell’offerta nei freschi e nei vini.
A proposito di Brunelli, com’è destinato a evolvere il vostro rapporto con Finiper: su quali nuovi fronti vedete possibile lo sviluppo di sinergie e integrazioni?
Intensificheremo la collaborazione che finora è stata molto equilibrata: mentre nel largo consumo confezionato guidiamo noi il rapporto, nell’extralimentare è lui che guida e noi seguiamo. In futuro vogliamo collaborare di più lavorando su ulteriori sinergie nell’ambito della logistica.
Come commenti l’arrivo di Aldi in Italia?
Trovo stimolante l’ingresso di Aldi: aiuterà tutti a definire meglio il posizionamento di mercato, perché romperà diversi equilibri. Succederà quello che in passato è successo quando l’avanzata di Eurospin ha obbligato tutti gli operatori a chiarire meglio la loro specializzazione. Sarà interessante anche capire come si comporterà l’industria di marca in termini di omogeneità di trattamento tra Aldi e noi.
La Marca del distributore
Come procede l’evoluzione del vostro marchio da insegna a brand? Quali sono i prossimi obiettivi che volete raggiungere con la marca del distributore e le novità che avete in cantiere per il 2018?
Su questo fronte parlano i numeri: siamo arrivati a una quota di Mdd del 30%, che ci mette in linea con i best performer europei. Adesso vogliamo affrontare un’ulteriore segmentazione della nostra offerta puntando sul comparto del benessere, dove contiamo fare grande lancio nel 2018.
Nascerà un altro brand?
Sì, sarà nell’area del benessere e trasversale a diverse categorie, come Verso Natura, che ha una gamma di prodotti che vanno dai detersivi al cibo biologico. Ognuno dei nostri brand si sta focalizzando ancora di più sulla propria mission: Conad soddisfa la ‘pancia’ del mercato; Sapori&Dintorni allarga il campo d’azione e non è più solo espressione di tipicità di prodotto, ma espressione di gastronomia italiana d’eccellenza; Verso Natura esprime il nostro modo di declinare la sostenibilità e di interpretare il biologico e da quest’anno avremo anche una linea ad hoc per coprire l’area benessere e rispondere in modo più puntuale a questo trend che già in parte cavalchiamo con la linea di prodotti per la cura corpo Naturaline.
Nell’area del salutismo si affollano tanti player che magari non hanno i requisiti per stare a scaffale, ma si propongono con una politica di prezzo aggressiva. Qual è la vostra politica per difendere il comparto?
Il salutismo è un’area che spesso non è stata presidiata tempestivamente dalla marca industriale ed è vero che si sono affacciati sul mercato tanti piccoli operatori non sempre di livello. In questo contesto abbiamo deciso di scendere in campo direttamente con il nostro brand che poteva da un lato assicurare qualità ai consumatori, dall’altro avere un prezzo accessibile. Il risultato è che, grazie anche al lavoro fatto con Verso Natura, adesso nella categoria del bio cresciamo del 300%!
A che punto è il progetto di portare anche all’estero le nostre eccellenze alimentari?
All’interno della nuova alleanza Agecore stiamo lavorando molto bene con Edeka e Intermarché. A Edeka, per esempio, forniamo la pasta di Gragnano Igp, negli Intermarché allestiamo corner di Sapori&Dintorni. Abbiamo poi l’opportunità di segnalare ai nostri partner esteri i migliori fornitori italiani: la nostra eccellenza enogastronomica è rappresentata da moltissime imprese e questa frammentazione non sempre aiuta i buyer esteri che devono acquistare i nostri prodotti. Noi gli semplifichiamo il lavoro sia perché siamo sul territorio sia perché abbiamo già fatto per noi una selezione e sappiamo nomi e cognomi dei produttori migliori.
Quanto fatturate oggi all’estero?
Fatturiamo circa 50 milioni all’acquisto diretto.
Il futuro
Vorrei chiudere tornando al vostro modello cooperativo: per razionalizzare ancora di più la vostra organizzazione andrete verso un’ulteriore aggregazione passando dalle otto cooperative attuali a pochi grandi gruppi?
Non so quale sarà l’assetto definitivo che andremo ad assumere, ma quello che mi sento di dire è che sicuramente sarebbe poco avere una cooperativa sola, ma forse è troppo averne otto. Oggi uno dei fattori critici di successo in un mercato sempre più competitivo, dove i big player sono Aldi, Esselunga e Coop, è la massa critica, finalizzata a ottenere una maggiore efficienza: dobbiamo valutare qual è il migliore assetto per competere e garantire sostenibilità ai nostri soci da qui ai prossimi dieci anni. Avere più massa critica, infatti, significa avere anche una maggiore capacità d’investimento: noi abbiamo cooperative da 800 milioni e altre da 3 miliardi e mezzo che ovviamente hanno più risorse da investire rispetto alle prime e che possono e devono giocare un ruolo rilevante all’interno delle 14 città metropolitane che in Italia sono destinate a concentrare sempre più popolazione e a produrre pil (e nelle quali oggi le nostre cooperative di riferimento hanno quote basse). La progressiva concentrazione della popolazione in grandi centri urbani è un processo mondiale che sta interessando anche il nostro Paese. Dobbiamo riflettere su come affrontare anche questo aspetto.
Avete appena annunciato un accordo con Enel Energia per mettere delle colonnine di ricarica per le auto elettriche in 250 vostri punti vendita: va bene essere veloci, ma non è prematuro?
Siamo stati più che veloci. Abbiamo chiuso l’accordo in tre settimane e in tre mesi saremo a regime in 250 piazze. L’abbiamo fatto perché per noi fare prossimità significa innanzitutto offrire servizi, tantopiù se sono a favore di uno sviluppo sociale più sostenibile, come la mobilità elettrica. Prematuro? Forse, ma quando domani le auto elettriche saranno molte di più, i competitor ci penseranno due volte a mettere le loro colonnine vicino alle nostre: noi avremo già presidiato il mercato, offrendo tra l’altro ai clienti la possibilità di fare la spesa nel tempo di una ricarica (un’ora). Come dicevo all’inizio, il contrario di veloce, oggi, non è più lento…
Maria Cristina Alfieri