Delle white label comparse nel Regno Unito nei primi anni ’80 è rimasto ormai davvero ben poco. Le cosiddette etichette bianche di Sainsbury’s, chiamate così perché il loro pack indicava solo la tipologia del prodotto, puntavano tutto sulla convenienza, senza concedere nulla o quasi alla gratificazione del cliente. Un concetto di alternativa low cost o sottomarca, che oggi ha lasciato il passo a un autentico cambio di posizionamento, rendendo così la private label uno strumento per costruire l’immagine dell’insegna e, allo stesso tempo, un laboratorio per diversificare l’offerta. Se quindi l’industria di marca tende a diminuire i propri prezzi medi, la Mdd è orientata ovunque a investire anche sui prodotti di fascia alta, abbinando l’idea di value for money a quella del value for me, in linea con gli stili di consumo moderni.
Le performance europee della Mdd
Considerata la forte concorrenza che ormai caratterizza il mercato del grocery – commenta David Jago, Director of Innovation and Insight di Mintel –, il marchio del distributore diventa il principale terreno di sfida tra i retailer per conquistare la fedeltà degli shopper. Intanto, il panorama europeo della pl rimane quello più sviluppato al mondo, in particolare nei Paesi occidentali, dove si riscontra un contesto altamente competitivo, che impone ai retailer di lavorare molto duramente per emergere e attrarre così clienti attenti ai prezzi, ma allo stesso tempo esigenti verso la qualità e il valore aggiunto. Non a caso, le statistiche pubblicate nell’Annuario internazionale della Plma mostrano che, nel corso del 2017, il market share della Mdd ha raggiunto i suoi massimi storici in Germania, Italia, Paesi Bassi, Belgio, Polonia, Austria, Svezia, Norvegia e Danimarca. La performance più sostenuta di crescita della quota si registra in Austria, con un aumento di 2,8 punti al 43%, seguita dalla Germania, dove sale del 2,1% attestandosi al 45 per cento. L’Italia, invece, riporta il maggiore incremento dal 2012, dopo cinque anni consecutivi di segno positivo. Nel Belpaese la marca privata vale il 22% del mercato, mostrando ampi margini di espansione, non certo legati solo all’imminente ingresso di Aldi nell’arena competitiva. Mintel, del resto, stima che il 25% dei consumatori stia passando dai brand alle private label più economiche.
Avanza l’offerta premium
A guidare il rinnovamento e l’espansione dell’Mdd ci sono le stesse tendenze che animano l’intero mercato del grocery. Dunque, anzitutto una maggiore attenzione agli aspetti salutistici del cibo e alla forma fisica, al biologico e alla provenienza delle materie prime. Nel corso dell’ultimo anno – conferma David Jago –, in Europa occidentale si è evidenziato un incremento dell’offerta dal posizionamento etico e ambientale, in particolare con le certificazioni Fairtrade e Utz, nonché attraverso l’animal welfare nelle categorie dei prodotti lattiero-caseari e della carne. Anche il focus sulla naturalità e il bio risulta in costante aumento, così come i claim vegetariano e vegano. Inoltre, cresce l’appeal delle private label di fascia alta. D’altronde, generare differenziazione tramite qualità, ingredienti unici, oppure ricette e sapori sofisticati si sta dimostrando una strategia di successo. Un nuovo lancio su dieci di prodotti a marchio del distributore rientra in una linea premium, come Carrefour Selection, Lidl Deluxe e Tesco Finest. La ‘premiumizzazione’ della Mdd viene considerata anche da Igd, nel suo report dedicato alle previsioni per il 2018, una delle principali tendenze destinate a scuotere il mercato global del retail durante i prossimi 12 mesi. Secondo la ricerca, nel Regno Unito, dove la pl si mantiene oltre il 45% del market share, ben il 75% degli shopper ritiene che la qualità dei prodotti a marchio del distributore sia migliorata sensibilmente negli ultimi due anni. I retailer, quindi, continueranno a porre l’accento sulle proposte a valore aggiunto con uno scontrino accessibile. Tutto ciò – spiega Toby Pickard, Innovations and Trends Analyst di Igd – consente ai player di differenziarsi e distinguersi in un contesto sempre più complesso e competitivo. Per i copacker questa dinamica assicurerà volumi maggiori, ma anche altre pressioni notevoli sui costi. Le marche industriali, invece, dovranno garantire che i loro prodotti siano effettivamente superiori, per giustificarne i prezzi, affidandosi alla propria storia e all’innovazione.
Leggi l’intera inchiesta sul numero di gennaio 2018 di Food.