Un accordo da 50 milioni di euro per l’equivalente di 10 milioni di bottiglie con l’obiettivo di valorizzare la produzione italiana di qualità, la vera leva del settore olivicolo nazionale per competere a livello globale e di rilanciare l’intera filiera messa sotto pressione dalla crisi dei volumi e dalla concorrenza degli altri paesi del Mediterraneo. Quali saranno i prossimi step per rendere operativo l’accordo? “L’accordo quadro sarà perfezionato attraverso contratti tra Unaprol e le singole aziende – ha dichiarato Francesco Tabano, Presidente di Federolio -. E non necessariamente riguarderà i volumi della prossima campagna, bensì anche l’olio attualmente disponibile se rientra nei parametri richiesti. Il contratto è esteso a tutte le aziende che fanno parte oggi di Federolio e a quelle che ne faranno parte domani. Saremo ben lieti di accogliere le imprese che si riconosceranno nei nostri valori”. L’accordo prevede lo stanziamento di un fondo da destinare alla ricerca e agli investimenti mirati sul territorio in funzione delle esigenze delle imprese, dal recupero degli oliveti in stato di abbandono, alla messa a dimora di nuovi impianti, all’elaborazione di strumenti per ottimizzare l’efficienza produttiva. “Stiamo realizzando un upgraded del modello di filiera olearia che era assolutamente necessario – ha commentato David Granieri, Presidente di Unaprol -. Tutti gli interventi previsti da questo accordo vanno nella direzione di creare stabilità per il mondo produttivo e per l’industria di trasformazione, nella condivisione dell’interesse comune di far prevalere l’elevata qualità italiana nella competizione internazionale. Se Costco fa presente che ci sono 3 euro di differenza tra l’olio italiano e l’olio spagnolo, bisogna far emergere le caratteristiche del nostro prodotto per giustificare il posizionamento premium. Stiamo costruendo un percorso innovativo a vantaggio di tutti”.
IL MODELLO ITALIANO
Basta con i paragoni tra Italia e Spagna. È vero, la Spagna con i suoi 2 milioni di tonnellate (da dimostrare, non tutti condividono il dato dichiarato) ci ha strappato la leadership nelle esportazioni, ma giocando sul terreno dei volumi e del prezzo. La partita dell’Italia è un’altra, come ha spiegato il prof Maurizio Servili dell’Università di Perugia: “Le strutture produttive italiane e spagnole sono completamente diverse. Noi abbiamo 3mila anni di storia da valorizzare e il nostro modello deve essere basato sulla qualità, sulla produttività e per quanto possibile sulla riduzione dei costi. La qualità data dalle differenze climatiche e dalle differenze varietali delle 500 cultivar distribuite sul territorio deve essere riconoscibile. Se non difenderemo questa biodiversità perderemo la vera peculiarità degli oli italiani e apriremo la strada a produzioni indifferenziate, a oli commodity e quindi vincerà chi produrrà a prezzo più basso”. Altro elemento distintivo tra Spagna e Italia è la prima trasformazione. “Per la nostra filiera – ha illustrato Servili -, poter contare su 5mila frantoi contro i 900 della Spagna vuol dire far valere tempestività di intervento e preservazione della qualità. L’innovazione di processo sulle tecniche di trasformazione realizzata in Italia negli ultimi 5-6 anni è all’avanguardia. L’anello debole della filiera è la produzione agricola. Bisogna agire per garantire la disponibilità di prodotto tutti gli anni”. A questo proposito il dibattito è aperto e la ricerca al lavoro per elaborare il modello di olivicoltura più consono. “L’obiettivo è l’aumento e la standardizzazione della produzione, riducendo i costi. Il modello intensivo con 500-600 piante è adattabile a tutte le cultivar italiane e applicabile su tutto il territorio”.
RICERCA, ITALIA IN PRIMA LINEA
In pochi sanno che l’Italia dal 2016 coordina Oleum, il progetto europeo (finanziato nell’ambito del programma Horizon 2020, coinvolge 20 partner internazionali, provenienti da 15 paesi europei ed extra europei con un budget di 5 milioni di euro) che ha l’obiettivo di garantire qualità e autenticità dell’olio di oliva. L’espansione della produzione da parte dei paesi extraeuropei, in assenza di armonizzazione dei metodi di analisi lascia spazio alla contraffazione. “Siamo orgogliosi di portare avanti questo lavoro – ha dichiarato Tullia Gallina Toschi, docente all’Università di Bologna e responsabile del progetto – che si concluderà tra due anni, perché ne abbiamo le competenze, anche se abbiamo preferito un basso profilo mediatico. Stiamo coordinando l’attività sui metodi di controllo, sulla revisione dei metodi esistenti e metodi futuri per la qualità dell’olio. Stiamo lavorando alla revisione del panel test con l’inclusione di materiali di riferimento e a un metodo per la determinazione dei composti volatili da affiancare al panel test. Dovremmo raggiungere dei risultati importanti entro l’anno e poi partirà la full validation con la presentazione ai vari tavoli, a partire dal Coi, presso il quale siamo riusciti a non fare abolire il panel test, sotto attacco da più fronti, ma che resta a oggi l’unico strumento per garantire la qualità dell’olio extravergine. Per proseguire il percorso di ricerca nella direzione della difesa della qualità è fondamentale il supporto di aziende e istituzioni”. A questo proposito, Felice Assenza, Direttore Generale del Mipaaf ha ribadito l’importanza dell’olivicoltura all’interno del piano strategico nazionale dell’agricoltura che sarà esposto in sede di riforma della Pac, di cui è appena partito il negoziato: “Sarebbe opportuno ricorrere a un intervento specifico per l’olivicoltura analogo a quello dell’Ocm vino. È necessaria un’azione forte e organica e l’accordo tra Federolio e Coldiretti ci aiuterà a prendere decisioni condivise”.
ETICHETTATURA SUL TAVOLO UE
Il sostegno è assicurato anche dai rappresentanti europei, come ha evidenziato Paolo De Castro, in collegamento via skype, che ha innanzitutto accolto positivamente l’accordo tra Federolio e Coldiretti: “Gli accordi di filiera rappresentano un’opportunità straordinaria per il settore alimentare italiano, in grado di dare forza ai produttori e di garantire la giusta ripartizione del valore tra tutti gli attori. È una strada che Coldiretti sta seguendo per difendere le caratteristiche distintive delle nostre produzioni che fanno la differenza sul mercato e rendono possibile la crescita del made in Italy”. In sede Ue si stanno portando avanti le proposte per l’etichettatura d’origine e per superare i limiti dell’etichettatura a semaforo, che in Uk e in Francia sta penalizzando pesantemente proprio l’olio extravergine. “Siamo decisamente contro l’approccio dell’etichettatura a semaforo, per noi è importante informare il consumatore, non condizionarne le scelte”, ha concluso De Castro. Intanto anche l’olio della filiera Coldiretti Federolio avrà un proprio marchio per essere riconoscibile: “Abbiamo pensato di apporre in etichetta il marchio del Fai (Filiera agricola italiana) – ha spiegato Tabano -, in grado di comunicare il valore della sicurezza di filiera”