Qualche anno fa si parlava di Smart-Phone, oggi si parla di intere città o fabbriche ‘smart’. La filiera agroalimentare non è esente da questa tendenza: il paradigma dello ‘smart agrifood’ sta ridefinendo gli scenari competitivi e aprendo nuove opportunità per ogni attore coinvolto.
Le nuove tecnologie – big data, IoT, blockchain, Intelligenza artificiale e robotica, additive manufacturing – possono rivoluzionare qualsiasi elemento della filiera: dai droni e sensori capaci di elevare la produttività delle coltivazioni, ai sistemi di monitoraggio delle linee produttive in grado di prevedere malfunzionamenti o problemi qualitativi, fino agli scaffali dei supermercati intelligenti in grado di anticipare e guidare il consumatore.
La riduzione dei costi è una delle promesse più attrattive delle nuove tecnologie, ma c’è molto di più: filiere più trasparenti, processi aziendali più snelli, produzione più efficiente, tracciabilità garantita e monitoraggio costante degli aspetti che impattano sulla salute.
PREDICTIVE MAINTENANCE
Una delle aree di implementazione più interessanti è quella della ‘predictive maintenance’. “Sinfo One già da qualche anno ha iniziato a investire nello sviluppo di sistemi avanzati di monitoraggio dei processi produttivi con l’obiettivo di ottimizzare i costi, e aumentare l’efficacia dei processi e la qualità percepita del prodotto”, afferma Mirko Menecali, Responsabile della business unit Business Intelligence di Sinfo One.
“Troppo spesso i progetti di questo tipo rimangono allo stadio di prototipo proprio perché ci si arena intorno a problematiche tecnologiche (più dell’80% secondo un indagine Cisco del 2017). All’inizio si affrontano aspetti come protocolli di comunicazione, caratteristiche dei sensori, algoritmi di previsione, ecc. ma l’elemento vincente è concentrarsi sugli obiettivi di business dei clienti. Capire come ottenere una adeguata rappresentazione virtuale del processo (digital twin) e supportare il percorso decisionale con informazioni orientate al futuro. Questa apparente de-focalizzazione dai temi di natura più tecnologica è possibile grazie alla presenza sul mercato di soluzioni di terze parti che possono, se adeguatamente miscelate, velocizzare enormemente il tempo di rilascio delle soluzioni” continua Menecali. “Mi riferisco a vendor come Oracle o Amazon AWS, con cui lavoriamo, per avere piattaforme Plug and play adatte a supportare i processi di analisi dei dati, cosi come a startup che sviluppano tecnologie verticali per la rilevazione di informazioni in modalità wireless dal campo”.
BUSINESS INTELLIGENCE
La missione principale della Business Intelligence è valorizzare le informazioni, trasformando i dati in conoscenza. Per questo Sinfo One ha concentrato le energie della Business Unit BI nello sviluppo di algoritmi previsionali proprietari in grado di anticipare rotture o malfunzionamenti dei sistemi produttivi integrando molteplici fonti dati – di campo provenienti da sensori, gestionali, previsionali e provenienti da fonti web, social, ecc. – . Ovviamente ogni fonte dati ha caratteristiche diverse. In generale quello di cui di deve tener conto è il volume di dati che le diverse fonti generano a la complessità nel gestirli, che deriva essenzialmente dalla velocità di generazione e dalla varietà della loro struttura. Governare questi elementi significa poter integrare le informazioni e tirarne fuori il massimo valore.
COMPETENZE
Se tutte queste tecnologie sono così promettenti e facili da usare, qual è l’ostacolo alla loro diffusione? Non è il costo, come si potrebbe pensare, non solo perché queste tecnologie spesso hanno un ritorno dell’investimento facile da stimare, ma soprattutto perché i costi di acquisizione sono ampiamente scalabili: diventano importanti solo con l’acquisizione massiva della tecnologia e quindi anche con la sua profittabilità.
Allora perché non tutte le aziende adottano tali tecnologie? “Il problema che incontriamo noi in Sinfo One – afferma Menecali – è essenzialmente culturale/organizzativo”. Secondo un indagine del 2017 del politecnico di Milano la mancanza di competenze interne e figure organizzative specifiche per valorizzare le informazioni è la causa maggiore della mancata acquisizione di tecnologie evolute (51% dei casi).
In effetti lo stesso studio citato sopra stimava per il 2018 che solo in un’azienda su due tra quelle osservate stava introducendo una figura specifica volta a valorizzare il patrimonio di dati disponibile in azienda (‘data scientist’ o ‘data specialist’) e che meno di una su cinque prevedeva tale ruolo in una posizione organizzativa in grado di supportare l’intero business. Nella maggior parte dei casi tale ruolo è inserito internamente a funzioni specifiche come il marketing.
Nonostante tali gap l’Italia rientra nelle top 10 a livello mondiale per quanto riguarda molte delle tecnologie al servizio dell’Industry 4.0. Questo dato deve infondere fiducia e rendere le nostre imprese più ambiziose, poiché conferma le potenzialità del nostro sistema industriale (dice Deloitte nel suo report 2018: “Italia 4.0 siamo pronti?”). “Personalmente sono d’accordo – continua Menecali – e direi che specialmente nella produzione alimentare dove l’Italia ha da sempre dettato le regole del gioco per qualità e capacità di innovazione è una sfida che le nostre aziende non possono non cogliere”.