Dopo l’inchiesta di Report sui prosciutti e dopo altre notizie apparse sul web, c’è da chiedersi se c’è qualche regista occulto che vuole danneggiare il prosciutto di Parma, il Consorzio di Tutela e i 150 produttori. Noi di Food – che abbiamo criticato la campagna pubblicitaria televisiva e anche la mancanza di controlli rigorosi sulla marchiatura e sull’applicazione del disciplinare di produzione – ora prendiamo le difese dei produttori, del Consorzio di Tutela e in ultima analisi del prosciutto di Parma e del suo brand. Un prodotto e un brand conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. L’Ipq (Istituto Parma Qualità), cioè l’ente preposto ai controlli, è stato ulteriormente sospeso per altri tre mesi. Ha ragione Centinaio, il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, a dire che nel complesso i controlli ci sono e funzionano: i prosciutti oggetto dell’indagine di cui tanto si è parlato, sono stati smarchiati prima che fossero immessi sul mercato, contrariamente a quello che hanno detto e scritto molti giornalisti. Così come non è vera l’altra fake news che gira sul web e che sostiene la tesi che la Dop per il prosciutto di Parma sarebbe a rischio. Quelli del Consorzio e i 150 produttori sono persone serie e troveranno le soluzioni per far sì che non si possano più ripetere errori. Sarebbe sufficiente delegare i controlli a una società di certificazione indipendente per risolvere il problema. A vantaggio di tutti i produttori e distributori e anche per trasparenza verso i consumatori. Così come il Consorzio del San Daniele ha richiesto modifiche al disciplinare, anche il Consorzio del Parma dovrà valutare se sia il caso di inserire alcune modifiche marginali a un disciplinare che è stato scritto benissimo, pieno di dettagli, norme e regole. Va solo fatto applicare con rigore e quindi marchiare soltanto i prodotti che corrispondono al disciplinare.
Il settore sta attraversando un momento di crisi, ma noi siamo convinti che gli imprenditori più lungimiranti, aiutati da un consulente esperto, sapranno trovare le soluzioni per rilanciare tutta la filiera e il brand. Le varie associazioni dovranno, prima o poi, prendere posizione per difendere la categoria e i propri associati. “Tenere la testa sotto la sabbia come fanno gli struzzi non serve a nulla” ha commentato un importante industriale dei prosciutti. “Una soluzione potrebbe essere quella di ritirare 500mila prosciutti dal mercato – ha precisato un altro industriale – come avevano fatto gli imprenditori del San Daniele quando era andato in crisi Brendolan. Una scelta che si è rivelata la soluzione più appropriata”. In questo modo si toglierebbero dal mercato prodotti oggi svenduti sotto costo. Andrebbe costituita una newco, cioè una nuova società commerciale, che si impegni poi a rivendere sul mercato questi prodotti. Si potrebbe così calmierare il mercato, per poi ripartire studiando con attenzione le previsioni per i prossimi anni. Un piano industriale poi andrebbe definito sentendo prima i clienti in Italia e all’estero, svolgendo un’analisi approfondita sul venduto degli ultimi anni e sulle stime dei futuri consumi di carne. Insomma una ricerca di mercato, qualitativa e quantitativa, per evitare di commettere errori. Servono 9 mesi per allevare un suino, e ne servono 12 o 24 mesi per stagionare un prosciutto. Fare previsioni a due e più anni non è semplice. E le scelte sbagliate incidono, così come i costi finanziari, che spesso sono sottovalutati.
Questo mercato, da sempre, è ciclico. Gestire la ciclicità si può e si deve, eliminando la burocrazia, i lacci e i lacciuoli, le Borse Merci e tutti i costi inutili. La prima regola per guadagnare è tagliare i costi che non servono. Oggi poi ci sono nuovi strumenti per controllare meglio la filiera come, per esempio, applicare un microchip alle cosce dei suini, fascette di diversi colori in funzione della qualità e della stagionatura e altri sistemi per rispondere alle richieste di maggiore trasparenza nei confronti dei distributori e dei consumatori. Fino a valutare l’opportunità di gestire i prezzi dei suini e delle cosce una volta l’anno, come si fa nell’ambito del latte, per evitare le fluttuazioni. Per non parlare dell’innovazione di prodotto e di servizio, che si può ottenere segmentando l’offerta in 4 o 5 tipi di prodotto in funzione del peso, della stagionatura e della qualità. Il Pata Negra e il prosciutto iberico devono essere presi a modello, se si vuole vendere prosciutti, come fanno gli spagnoli, a prezzi di cessione che variano da 20 a 70 euro al kg e anche oltre. Pensare poi a come sviluppare le vendite, per esempio autorizzando il confezionamento in vaschette di preaffettato in alcuni mercati esteri come Usa, Canada, Australia e Giappone. Oppure far propria la proposta avanzata da Coldiretti di prevedere, nei capitolati per le mense scolastiche e degli ospedali, linee di indirizzo nazionali che privilegino le carni 100% made in Italy. E aggiungiamo noi, stipulare accordi diretti con catene come Autogrill, Coop, Conad ed Esselunga, i grandi clienti che potrebbero così privilegiare i prosciutti italiani. Prosciutti che sono migliori di quelli Mec importati. Avvantaggiati anche dal fatto che il prodotto Mec è aumentato nel solo mese di aprile di 1 euro al kg. Utilizzare poi come ambasciatori le salumerie, i bar e la ristorazione tradizionale e street food. È quanto hanno fatto i signori dello champagne, con enoteche e sommelier: oggi il loro prodotto si vende da 20 euro in su e tutti guadagnano, perché la regia è stata fatta da l’Union des Maisons de Champagne, che raggruppa i grandi marchi, oltre ai piccoli produttori di nicchia. Una regia che, a vantaggio dell’intera filiera del prosciutto, deve essere gestita dai salumifici. E non demandata ad altri, come è stato fatto nel passato e continua a succedere. Fare sistema è positivo, ma va definito chiaramente chi decide. In Francia gli agricoltori sono contenti perché sono pagati bene e lo sarebbero anche gli allevatori e i macellatori di suini in Italia se ci fosse una politica di settore. E non continuare a sperare che il mercato cambierà e si sistemerà tutto come è successo in passato. Sono finiti i tempi della speculazione, oggi tutti gli attori della filiera perdono soldi e non comunicano bene con i consumatori. Le priorità sono due: più qualità e controllarla meglio. I brand, però, sono forti. Forza Parma e Forza San Daniele.
Paolo Dalcò