Sono in forte crescita le importazioni in Italia di olio proveniente dall’Africa, mentre cala l’export verso gli Stati Uniti, principale mercato per il settore olivicolo nazionale. È quanto emerge dall’ultimo report di Ismea sull’olio d’oliva. L’Italia, dopo un’annata disastrosa sotto il profilo quantitativo con 175mila tonnellate prodotte, nel 2018 si è confermata al primo posto al mondo come Paese importatore con 549mila tonnellate. Molto significativo l’incremento dell’import dall’Africa: +241% dal Marocco e +65,6% dalla Tunisia, mentre è calato quello dalla Spagna (-17,9%) che rimane comunque nettamente leader della domanda italiana all’estero.
In diminuzione invece (-6,3%) le esportazioni negli Stati Uniti, che consumano 320mila tonnellate di olio d’oliva a fronte di una produzione di 10mila. Qui tra l’altro è in corso una petizione per chiedere al Dipartimento USA al Commercio Estero di escludere l’olio d’oliva europeo, in quanto alimento salutare, dalla lista di prodotti su cui pende la scure dei dazi minacciati dal presidente Trump.
IL RISCHIO DELL’OLIO DI BASSA QUALITÀ
“Il rischio concreto è che arrivino in Italia produzioni di qualità molto bassa, svendute a prezzi insostenibili, che provocano danni ai produttori e alla salute dei consumatori – spiega David Granieri, presidente Unaprol, Consorzio olivicolo italiano –. Preoccupante è il calo dell’export negli Stati Uniti che rappresentano il 30% dell’export dell’olio italiano sia in volume sia in valore. Una diminuzione che potrebbe nascondere anche un timore relativo alla diffusione dell’italian sounding, fenomeno che denunciamo e combattiamo da anni. Inoltre, ad aggravare la situazione c’è il rischio dei dazi che favorirebbero le falsificazioni e aprirebbero la strada a Paesi extra Ue con prodotti meno controllati e di qualità inferiore”.