Lo scorso giugno Carrefour ha ceduto a Suning la quota di maggioranza dei suoi negozi, seguendo l’exit strategy già intrapresa in passato da Tesco e Dia. Metro, invece, ha praticamente messo in vendita le attività nel Paese asiatico. Il mercato cinese, dunque, non sembra affatto sorridere ai retailer occidentali che, ostacolati anzitutto da problemi logistici e dai difficili rapporti con i partner locali, adesso tirano mestamente i remi in barca. Anche Walmart, del resto, in due decenni di presenza e contando su oltre 430 store, oggi raggiunge un market share pari ad appena l’1,7 per cento. Eppure, questa situazione stride con la folla che a Shanghai pochi giorni fa ha letteralmente preso d’assalto l’inaugurazione del primo store di Costco. E non rispecchia nemmeno le ambizioni di Aldi, che ha da poco aperto i battenti in Cina con propositi di rapida espansione.
SPAZIO ALLE PRIVATE LABEL
Secondo gli analisti, a fare davvero la differenza nel mercato cinese è la capacità di affidarsi a prodotti unici. Non a caso, Walmart, Costco e Aldi hanno in comune l’idea di puntare sulle private label, privilegiando le importazioni, nonché di collaborare su più larga scala con i player dell’e-commerce.
LA SFIDA DI ALDI
I primi due negozi di Aldi a Shanghai offrono 1.300 referenze di alta gamma, di cui molti importati, e 15 diverse categorie merceologiche su una superficie complessiva di 1.100 metri quadrati. Nell’assortimento ci sono tra l’altro prodotti ortofrutticoli freschi, prodotti pronti di IV e V gamma, snack, pane, bevande, vini e liquori.
I PIANI DI WALMART
Se Kirkland, la pl di Costco, è balzata subito in cima alle preferenze dei consumatori cinesi, anche Walmart intende quindi portare avanti un approccio simile. Per questo, al centro della sua espansione adesso c’è l’insegna Sam’s Club, il cui focus è più concentrato sul marchio privato, con specialità estere difficili da trovare tra gli scaffali della concorrenza.
L’UNICITÀ È UN MUST
Per i rivenditori occidentali, insomma, il segreto del successo consisterebbe nell’evitare di riproporre ai consumatori le stesse marche dei competitor locali. L’esempio vincente, in questo caso, arriva dal settore dell’abbigliamento, dove i brand stranieri, forti della loro unicità, hanno sottratto quote ben più consistenti ai rivali cinesi.