ANCC-Coop, ANCD-Conad, CNCC – Consiglio Nazionale dei Centri Commerciali, Confimprese e Federdistribuzione contestano le nuove limitazioni contenute nell’ultimo Dpcm varato dal governo, in particolare per l’impatto sui punti vendita presenti nei centri commerciali. Fino al prossimo 6 gennaio, il decreto prevede infatti la chiusura dei centri commerciali nei fine settimana e nei giorni prefestivi e festivi, mentre i negozi delle città possono restare aperti fino alle 21
Secondo le organizzazioni della distribuzione italiana, la chiusura dei punti vendita non alimentari dei centri commerciali nei giorni festivi e prefestivi del periodo natalizio è “una grave limitazione al servizio dei cittadini, e una misura contraddittoria rispetto all’obiettivo della prevenzione sanitaria; anche solo per l’inutile aggravamento degli assembramenti che si creeranno negli altri giorni e nei centri cittadini, oltre al serio danno per migliaia di operatori”.
Inoltre, insegne e associazioni contestano “l’incertezza generata dalle interpretazioni restrittive delle attività di vendita dei supermercati e ipermercati nei centri commerciali, con il divieto di vendere prodotti non alimentari presenti sugli scaffali limitando l’accesso a beni di prima necessità quali assorbenti femminili, pannolini per bambini, carta igienica, prodotti per l’igiene personale o per la cura della casa”.
CENTRI COMMERCIALI, LE RICHIESTE DELLA DISTRIBUZIONE
I centri commerciali “applicano misure e controlli stringenti sin dalle prime fasi dell’emergenza” – si legge in una nota congiunta della distribuzione italiana. “La tutela della salute è, infatti, un valore e un impegno al quale le aziende rappresentate in ANCC-Coop, ANCD-Conad, CNCC – Consiglio Nazionale dei Centri Commerciali, Confimprese e Federdistribuzione hanno sempre dimostrato totale adesione, dandone dimostrazione sin dall’inizio della pandemia. Le associazioni del commercio chiedono quindi con urgenza un intervento di modifica delle norme contenute nel Dpcm, eliminando le limitazioni agli esercizi che operano nei centri commerciali. Un intervento che produrrebbe un vantaggio per i consumatori, per le imprese e per la salute pubblica”.
IL GRIDO D’ALLARME DEL PARCO I PORTALI DI CATANIA
L’ultimo Dpcm ha scatenato anche la protesta da parte del Parco commerciale I Portali di San Giovanni la Punta (CT). Un provvedimento che, stando alle imprese associate, “tradisce lo shopping proprio durante il periodo natalizio nel quale, si auspicava, potessero aumentare le vendite e che rappresenta uno dei momenti dell’anno più significativi per l’economia e il bilancio delle attività commerciali”.
Per questo è stata tra l’altro depositata una petizione parlamentare che richiede l’immediata esenzione della seconda rata IMU 2020. “Dopo gli investimenti che abbiamo affrontato per adeguare la struttura al protocollo per il contenimento Covid – afferma Elisabetta Romeo, rappresentante legale dell’immobiliare I Portali – con questi Dpcm schizofrenici che ci costringono ad un continuo apri e chiudi si stanno causando danni irreversibili ad uno settori portanti per l’economia del nostro Paese. Il governo centrale dimentica che i costi di gestione non sono ad intermittenza, noi abbiamo contratti pluriennali, dobbiamo comunque pagare le utenze di svariate centinaia di migliaia di euro mensili. A ciò si aggiungono le imposte per il possesso di un importante patrimonio immobiliare, con l’aggravio dei costi necessari per adeguarsi all’emergenza epidemiologica, oltre che maggiori servizi, oggi indispensabili per la salute pubblica. Non c’è nessuna forma di ristoro che ci permetta di non rischiare il collasso finanziario. Tali danni non si sono ripercossi solo sulle singole vetrine, ma anche e soprattutto nei confronti del Parco Commerciale, inteso come azienda unitaria”.
L’azienda sta anche valutando, insieme ad altri centri commerciali, la possibilità di impugnare il nuovo Dpcm davanti al Tar.