Le famiglie italiane riscoprono il miele. Complici la maggiore attenzione alla salute in un’epoca di emergenza sanitaria e la più lunga permanenza tra le mura di casa, le vendite hanno registrato nei primi 9 mesi del 2020 una crescita del 13% in volume (dati Ismea). Le famiglie con giovani e giovanissimi sono alla base di questo incremento.
Complice la pandemia da coronavirus, quella registrata da Ismea nel suo ultimo report Tendenze – interamente dedicato alle dinamiche del comparto – è una vera e propria inversione di rotta. Sia rispetto alla flessione degli acquisti dell’ultimo biennio, sia al ruolo trainante fin qui esercitato dagli over-50, di reddito medio alto, a cui si devono normalmente oltre il 70% degli acquisti di miele.
PRODUZIONE
Lo scorso anno circa il 60% di prodotto disponibile è stato di provenienza estera, a fronte di una produzione nazionale in forte ridimensionamento. Per il 2020 le stime Ismea-Osservatorio Miele indicano un recupero del +13% sul 2019 con una produzione che dovrebbe portarsi a 17 mila tonnellate. Si tratta comunque di un livello molto al di sotto della capacità produttiva nazionale che conta oltre un milione e 600 mila alveari, in aumento del 7,5% su base annua.
Circa 783mila di questi alveari sono stanziali e 657mila nomadi; una piccola quota residua è rappresentata da quelli non meglio classificati. Il 74% degli alveari totali (1.232.831), sono gestiti da apicoltori commerciali che allevano le api per professione. Nel 2019 sono stati oltre 187 mila gli alveari che hanno prodotto miele biologico, mentre 1,39 milioni hanno fornito quello convenzionale. Nei primi 6 mesi del 2020 sono saliti rispettivamente a 208 mila e a 1,45 milioni.
L’EVOLUZIONE DELLA DOMANDA
Dal 2015 al 2019 la spesa per gli acquisti domestici di miele è cresciuta dell’8,8%, a fronte di un incremento del 4% dei volumi.
Tale dinamica, tuttavia, è il saldo tra un triennio di risultati estremamente positivi (dal 2015 al 2017 incremento dei volumi del 11% e della spesa del 13%), e il ripiegamento accusato nel biennio 2018 e 2019.
Nel quinquennio 2015-2019, in un contesto di crescita dei volumi del 4%, la maggior spinta degli acquisti proveniva esclusivamente dalle famiglie con componenti di età adulta e avanzata. Tutti gli incrementi di acquisto erano inoltre da ascriversi esclusivamente alle famiglie con reddito alto (+18% a fronte di una flessione del 2,4% di quelle a reddito basso).
Nel 2020, come anticipato, il quadro si ribalta, in una condizione di emergenza sanitaria si accentua l’attenzione del consumatore agli aspetti della salute e il miele viene considerato un prodotto salutistico, pertanto i consumi crescono del 13% acquistando appeal soprattutto tra i giovani e i giovanissimi. Sono quelle che Nielsen classifica come le “nuove famiglie” e le famiglie con figli adolescenti a far registrare le migliori performance, con incrementi degli acquisti in volume rispettivamente del 56% del 32%. Nel 2020, il miele non è più un prodotto solo per ricchi ma sono anzi le “famiglie a reddito medio basso” a incrementare maggiormente gli acquisti (+25% contro i +7,7% delle famiglie ad alto reddito).
I CANALI DI VENDITA
La Gdo costituisce il principale canale di vendita del miele, con i Super che svolgono un ruolo primario coprendo il 43% del totale, gli Iper con il 28% e i Discount con il 21%. Alla Gdo si affianca il Piccolo Dettaglio con il 6% di incidenza per i liberi servizi e un 2% per il dettaglio tradizionale. Una parte della produzione viene ceduta poi per vendita diretta in azienda, che sfugge al monitoraggio.
Nei primi nove mesi del 2020, alla crescita delle vendite di miele del 13% in volume hanno contribuito soprattutto i Supermercati dove ne risultano esitati oltre 700 mila kg in più rispetto allo scorso anno.
IL COMMERCIO CON L’ESTERO
I dati sui flussi di import/export relativi al primo quadrimestre del 2020 fanno registrare un calo di prodotto sia in entrata che in uscita. Rispetto allo stesso periodo del 2019, l’Italia ricalca il trend europeo con un calo dell’import in valore del 12,4%. Contestualmente, però, diminuisce anche l’export in valore di oltre il 25%. Principale fornitore resta l’Ungheria, dalla quale provengono il 42%dei volumi importati.