“Nelle ultime settimane stiamo assistendo ad un fuoco di fila, da parte di alcuni media, nei confronti del comparto della trasformazione del pomodoro da industria. Parlare in maniera indistinta di frodi, di manodopera schiavizzata non fa che gettare cattiva luce su un intero settore, che rappresenta una delle eccellenze dell’agroalimentare italiano nel mondo sia in termini di fatturato sia di quantità prodotte, e riveste un importante ruolo strategico e di traino dell’economia nazionale”. Il j’accuse arriva da ANICAV (Associazione Nazionale Industriali Conserve Alimentari Vegetali) che difende a spada tratta il settore.
“Riteniamo doveroso – si legge in una nota ufficiale dell’associazione – nei confronti di tutti gli imprenditori onesti, che rappresentano la stragrande maggioranza degli operatori della filiera del pomodoro da industria, fare chiarezza su alcune questioni fondamentali”.
I NUMERI DEL POMODORO DA INDUSTRIA IN ITALIA
L’Italia, con una produzione nel 2020 di 5,2 milioni di tonnellate di pomodoro trasformato a fronte di circa 65.634 ettari messi a coltura, è il terzo trasformatore mondiale dopo gli Usa e la Cina e rappresenta il 13% della produzione mondiale e circa il 53% del trasformato europeo. È anche il primo Paese produttore ed esportatore di derivati del pomodoro destinati direttamente al consumatore finale “che rappresentano l’emblema della cucina italiana nel mondo” – sottolinea ANICAV.
Pelati, passate, polpe e pomodorini “che troviamo sugli scaffali dei nostri supermercati sono ottenuti da materia prima di alta qualità 100% italiana. In merito ai fatti di cronaca – continua l’associazione – che negli ultimi due mesi hanno riguardato due aziende del nostro comparto relativamente a presunti illeciti messi in atto, ribadiamo, ancora una volta, che si tratta di fatti ancora oggetto di indagine e che comunque comporterebbero responsabilità individuali che non vanno fatte ricadere sull’intero settore”.
L’IMPEGNO PER LA TRACCIABILITÀ
ANICAV rivendica quindi il “totale impegno a favore della massima trasparenza a tutela della salute dei consumatori, così come testimoniato nel corso degli anni anche dalle posizioni assunte a sostegno dell’introduzione dell’etichettatura di origine obbligatoria per tutti i derivati del pomodoro. Ma anche dal lavoro che stiamo portando avanti in sinergia con la Stazione Sperimentale delle Conserve per la caratterizzazione dei macro e micro elementi minerali presenti nel pomodoro finalizzato all’identificazione della zona d’origine dei derivati. Una volta implementato, potrà rappresentare un fondamentale strumento a difesa delle nostre produzioni e a tutela del consumatore finale”.
LE IMPORTAZIONI DI CONCENTRATO
Per quanto riguarda le importazioni di concentrato, l’associazione sottolinea che l’Italia “importa concentrato di pomodoro da diversi mercati quali la Cina, gli USA, la Spagna e il Portogallo e che le importazioni dai due maggiori Paesi produttori, Cina e USA (California), variano in base alle oscillazioni dei tassi di cambio e delle produzioni/sovrapproduzioni interne”.
Circa il 90% del concentrato importato viene rilavorato dalle aziende italiane e poi riesportato, con la dicitura in etichetta “confezionato in Italia” e non “prodotto in Italia”, verso Paesi terzi, prevalentemente nord e west Africa e medio Oriente dove il consumo di questo derivato è molto diffuso.
Le importazioni di concentrato di pomodoro “non rappresentano un problema particolarmente rilevante per il nostro sistema agricolo e industriale – afferma ANICAV – in quanto la concorrenza avviene su livelli diversi. Il pomodoro coltivato in Italia è, per la sua elevata qualità, destinato alle produzioni di maggiore pregio – come, ad esempio, i pomodori pelati, prodotto caratteristico delle aziende del Bacino Centro Sud – che l’industria conserviera, con grandi difficoltà, cerca di vendere (non sempre riuscendovi) a condizioni sufficientemente utili a coprire il costo della materia prima”.
LA LOTTA CONTRO IL CAPORALATO
Infine una precisazione sulla questione del caporalato: “Non possiamo in alcun modo accettare che si dichiari, con una certa leggerezza, che la manodopera ‘al Sud continua ad essere schiavizzata’” – sottolinea ANICAV.
In Italia ormai quasi tutto il pomodoro da industria “viene raccolto meccanicamente: per il 100% al Nord e per oltre il 90% nel bacino Centro Sud. Si ricorre alla raccolta manuale soltanto in casi particolari: campi con alta presenza di pietrisco di grosse dimensioni e campi collinari con forte pendenza dove le macchine non possono arrivare, situazioni che vengono amplificate a seguito di forti piogge. La raccolta a mano è utilizzata, inoltre, solo per alcune specifiche produzioni di nicchia, come ad esempio il pomodoro San Marzano Dop”.
“Da anni – rimarca ANICAV – stiamo portando avanti numerose azioni per contrastare tale fenomeno: diffusione di certificazioni etiche delle aziende agricole ed industriali, sostegno alla rete del lavoro agricolo di qualità, introduzione nei contratti di fornitura del pomodoro dell’impegno della parte agricola a osservare il rispetto delle normative in materia di sicurezza e salute sul lavoro, previdenziale e assistenziale e dei contratti collettivi nazionali di lavoro, partecipazione al progetto Fi.Le. – Filiera Legale”.
In conclusione, “possiamo affermare, senza tema alcuna di smentita, che i consumatori che acquistano i derivati del pomodoro sono ampiamente tutelati dal gran numero di controlli cui vengono sottoposte le nostre produzioni, sia quelle vendute a marchio dell’azienda trasformatrice che quelli in private label per i quali, oltre ai controlli dei produttori, sono previsti anche numerosi audit da parte della Gdo” – conclude ANICAV.