Un’occasione di confronto tra l’industria delle bevande analcoliche e le aziende della filiera, per fare il punto del settore e provare a immaginare insieme le opportunità di crescita che il prossimo biennio potrebbe riservare. Ma anche per porre l’accento sui rischi di perdita in termini di fatturato, investimenti e posti di lavoro che l’introduzione della sugar tax comporterà.
Questi gli argomenti trattati nel convegno “La filiera delle bevande analcoliche, rischi e opportunità”, che si è tenuto nell’ambito della 20esima edizione di Cibus, organizzato da Assobibe e Confagricoltura.
Al convegno, oltre al presidente di Assobibe Giangiacomo Pierini e al presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, hanno partecipato Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare, Paolo De Castro, coordinatore S&D Commissione Agricoltura Parlamento Europeo, Stefano Marini, Ad Gruppo Sanpellegrino e vice presidente Assobibe, Emanuele di Faustino, project manager Nomisma, e i segretari generali di Fai-CISL Onofrio Rota, Flai-CGIL Giovanni Mininni e Uila-UIL Stefano Mantegazza.
GLI EFFETTI DELLA SUGAR TAX SECONDO L’INDUSTRIA
Nel corso dell’evento sono stati presentati i dati della ricerca commissionata da Assobibe a Nomisma dal titolo “Il settore delle bevande analcoliche in Italia nell’era post-Covid”, ed è stata data voce alle preoccupazioni di un intero settore in merito alle incertezze dei prossimi mesi e alle conseguenze dell’entrata in vigore della sugar tax, prevista per il prossimo primo gennaio 2022. L’introduzione dell’imposta, che comporterà un incremento della fiscalità del 28%, secondo l’industria di settore penalizzerà i consumi con ripercussioni negative su ogni anello della filiera.
“Lo studio di Nomisma dimostra gli effetti devastanti, economici e sociali, dell’introduzione di un’imposta del valore di 10 euro/ettolitro in un momento già così incerto” – ha sottolineato Giangiacomo Pierini. “Anziché facilitare crescita e occupazione, con l’introduzione della sugar tax nel 2022 si avrà una contrazione del 16% del mercato a volume, -180 milioni di euro di fatturato rispetto al 2019 e -344 milioni di euro se consideriamo la perdita di giro d’affari nel 2023 rispetto al 2019. Inoltre, togliere liquidità alle imprese con una nuova gabella da versare a fine mese si traduce in maggiori difficoltà e minori investimenti. Un trend nefasto che affosserà la ripresa e il ritorno ai consumi pre-Covid previsti a fine biennio 2022-2023”.
Questa tassa si abbatte su un settore già fortemente penalizzato dalla pandemia e dalle chiusure del canale Ho.Re.Ca. con una contrazione nel 2020 del 10% del fatturato. Tra i dati illustrati, il rischio di perdita di posti di lavoro per oltre 5mila lavoratori.
L’IMPATTO SOCIO-ECONOMICO
A risentire maggiormente degli impatti socio-economici della sugar tax sarebbero le PMI, ben il 64% delle aziende totali del settore e custodi della tradizione alimentare italiana. Non rimarranno illese le aziende della filiera, con i fornitori che vedranno un calo di acquisti di materie prime food e non-food per 250 milioni e ripercussioni importanti anche a livello territoriale, in particolare per regioni come Sicilia e Calabria da cui l’industria acquista principalmente la frutta, con il rischio che le aziende siano costrette ad approvvigionarsi dall’estero a minor costi rispetto a quelli nazionali.
“La sugar tax – ha aggiunto Massimiliano Giansanti – rischia inoltre di dare il colpo di grazia al comparto saccarifero nazionale, già fortemente danneggiato dalla liberalizzazione delle quote che ha contribuito alla decimazione del numero di imprese e di zuccherifici. Sarebbe piuttosto opportuno individuare misure che siano adeguate ed effettivamente funzionali all’obiettivo di garantire la salvaguardia della salute e del benessere. La tassa, invece, andrebbe a ripercuotersi direttamente sulla filiera dei succhi di frutta italiani, aprendo la strada al Nutriscore, il sistema di etichettatura basato esclusivamente su quantità standard di assunzione senza tenere conto della qualità e della tipicità di bevande e cibi”.