Marginalità sempre più a rischio per gli allevamenti di carne suina. Anzi, in non pochi casi i player del settore denunciano la prospettiva di una situazione non più sostenibile, considerati i diversi fattori di criticità concomitanti. Al pensante rincaro nei costi dei mangimi, infatti, si aggiunge un’offerta abbondante e il rallentamento della domanda da parte della Cina, principale mercato mondiale. Così, la suinicoltura italiana, al pari di quella europea, rimane stretta nella morsa di quotazioni in forte flessione. Secondo Ismea, a ottobre il prezzo medio dei suini da macello si è fermato a 1,34 euro per chilo di peso vivo, in calo del 6,2% rispetto al mese precedente e dello 0,9% in confronto allo scorso anno, quando già il settore denunciava di trovarsi in una fase critica. Il prezzo dei suini da allevamento, in particolare, si è attestato a 1,96 euro al chilo, con una contrazione del 10,3% rispetto a settembre e del 9,7% in confronto all’anno precedente. I segnali, intanto, indicano chiaramente la volontà degli allevatori di rallentare la produzione. Ma gli effetti sui prezzi non saranno comunque visibili nel breve termine.
PESA IL RINCARO DEI COSTI ENERGETICI
Nel mese di settembre, i costi per gli allevamenti dei suini riportano una flessione del 2,6% in confronto ad agosto, segnando però un aumento del +8,6% rispetto a settembre 2020. In particolare, l’incremento su base tendenziale è determinato dal rincaro dei costi energetici (+38,2%), seguiti dai mangimi (+10,3%).
I TREND DEL COMPARTO STAGIONATURA
Per il settore, una boccata d’ossigeno arriva dalle produzioni a denominazione d’origine o comunque dai salumi con carne 100% italiana. Nel comparto della stagionatura, del resto, la redditività mostra andamenti differenti secondo la tipologia di prodotto. Per il prosciutto Dop pesante l’indice Crefis di redditività è in aumento sia su base mensile (+1,3%) che su base annua (+28,9%). Il prodotto pesante non tutelato, al contrario, mostra una redditività stabile a livello congiunturale (+0,1%), ma rimane negativo il valore tendenziale, che flette 13,3 per cento. Il gap di redditività tra le produzioni Dop e quelle non tipiche risulta quindi ancora a favore delle prime, con un dato in ulteriore aumento e pari a +24 per cento.