Ha fatto notizia la decisione di alcune settimane fa di Unicoop Firenze di razionare farina, zucchero e olio di girasole, concedendo ai suoi clienti non più di quattro confezioni per ogni spesa. A molti è tornata in mente l’immagine degli scaffali vuoti dei primi periodi di lockdown all’inizio dell’era Covid. Oggi il problema si sta presentando sotto un duplice aspetto: da un lato, l’incremento dei prezzi dell’agroalimentare dovuto soprattutto al sommarsi di effetti diretti e indiretti legati a potenziali carenze di offerta e ai costi di produzione crescenti, dall’altro il problema di forniture dovute allo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina
L’aumento dei prezzi dell’agroalimentare è determinato da un insieme articolato di cause, tra cui spiccano le tensioni geopolitiche, con un mix di effetti a catena che si intrecciano e arrivano anche a sommarsi tra di loro, moltiplicandosi. Il fenomeno rischia di espandersi e potrebbe avere effetti duraturi, andando al di là della durata del conflitto bellico. L’impatto è ampio su tutta la filiera agri-food, ma anche su hospitality e ristorazione, dove l’incremento significativo del pricing e dei costi rischia di assottigliare, se non azzerare, i margini e quindi potrebbe costringere a ulteriori ritocchi dei prezzi dei menu.
AUMENTI DEI PREZZI, EFFETTO DOMINO
Per quanto riguarda gli effetti diretti sui listini, i problemi più significativi al momento si sono registrati sui cereali, in particolare frumento, mais e soia, e negli oli vegetali. Ciò rischia di generare un effetto domino preoccupante. Non solo, infatti, l’Ucraina è il “granaio d’Europa”, ma è anche il principale fornitore di molti altri Paesi africani e medio-orientali quali Somalia, Libia, Siria e Libano (oltre l’80% dell’import di grano del Libano proviene dall’Ucraina). A poter soffrire di significative carenze di import, a questi Paesi si aggiungono tutti quelli che si rifornivano dalla Russia, quali l’Egitto e la Turchia, che importano paese sovietico circa il 60-70% dei cereali. Ma non finisce qui. Altri produttori ed esportatori di cereali, come Ungheria e Bulgaria, hanno ridotto , se non bloccato, le proprie esportazioni per garantirsi gli approvvigionamenti interni. Il crollo dell’export dall’Ucraina e la riduzione significativa dalla Russia e da altri Paesi produttori sta avendo un forte impatto sui mercati, con effetti rilevanti nel medio e probabilmente nel lungo periodo.
Non a caso già oggi gli agricoltori di molti di questi Paesi, Ucraina in primis, non hanno avviato la stagione di semina, con l’inevitabile conseguenza che qui non si produrrà oppure ci sarà uno shortage con ulteriori tensioni sui prezzi.
NUOVE PRODUZIONI E NUOVE TENSIONI
L’impennata dei prezzi e lo shortage dei cereali sui mercati sta incentivando molti agricoltori e molti altri Paesi a “dirottarsi” sulla produzione di grano, mais, soia e girasoli, divenute ora molto convenienti, a discapito di altre produzioni, quali ad esempio quella dei pomodori. Questo anche mettendo a coltura terreni che in condizioni di normalità non sarebbero convenienti (attivando i meccanismi dei cosiddetti “rendimenti marginali decrescenti”, che creano ulteriori impatti sui costi di produzione) ed estendono così rincari e contrazioni di offerta anche ad altre colture.
Ma non è tutto. I cereali sono alla base dell’alimentazione ordinaria di numerosi animali da allevamento, come ovini, bovini, polli e tacchini, che possono risentire significativamente di questi effetti, con possibili necessità di macellazioni anticipate o comunque di “scossoni” anche su questi mercati.
Per quanto riguarda alcuni prodotti industriali, quali biscotti o altri prodotti da forno, si possono trovare ingredienti per ricette alternative, che riescano ad ovviare parzialmente ai rincari. Più difficile invece può essere trovare nell’immediato soluzioni per l’agricoltura e la zootecnia.
AUMENTI DEI PREZZI, EFFETTI INDIRETTI
A questi effetti diretti, si sommano quelli indiretti. Gli aumenti dei mangimi e dei concimi, aggiunti a quelli delle altre materie prime, soprattutto energetiche, possono portare a ulteriori impatti sui costi. L’impennata del prezzo del gasolio impatta su tutta la filiera produttiva dell’agrifood, da monte a valle. Molte merci dell’agroalimentare viaggiano ancora su gomma e il gasolio è fondamentale anche per tutti i macchinari agricoli nonché per il riscaldamento delle serre.
Il rincaro dell’energia impatta poi su tutti i processi industriali del settore del food, dalla produzione alla trasformazione, dalla conservazione alla distribuzione. I risvolti più immediati e significativi si registrano soprattutto sui prodotti alimentari che richiedono processi di produzione più lunghi o energivori, quali ad esempio latte e derivati, uova e zucchero.
Nel mondo dell’industria 4.0 e dell’intelligenza artificiale, dei robot e dei droni, la speculazione non si fa solo in borsa, ma anche sugli scaffali del supermercato, così come sui campi di grano bagnati dal sangue della guerra.
Articolo di Francesco Venuti, Direttore Accademico del Master in International Food & Beverage Management (IFBM)