L’Algoritmo: Yolo economy e retail

Cronaca di una morte annunciata? Sempre di più abbiamo difficoltà ad attrarre le nuove generazioni e a investire le loro competenze nel nostro settore valorizzando il più possibile le attitudini dei singoli
L’Algoritmo: Yolo economy e retail

In questi ultimi mesi, tutti noi siamo stati subissati da articoli, interviste e commenti in merito ad alcuni trend che stanno caratterizzando il modo di ciascuno di intendere il proprio lavoro e la propria professione. Termini e concetti divenuti comuni, come smart working, great resignation, hybrid work e soprattutto l’arrivo della Yolo Economy stanno trasformando significati e aspettative nei confronti del mondo del lavoro, soprattutto tra i più giovani.

NUOVE PRIORITÀ DOPO LA PANDEMIA

Il cappello concettuale dove trovano riparo tutti questi termini è sostanzialmente da ricercare nel modo con cui le persone con un contratto di lavoro dipendente, gli assunti, vogliono dare voce e forma a un nuovo bisogno di maggiore flessibilità e autonomia nella gestione del tempo e del luogo dove lavorare. Condizione necessaria questa per ottenere un migliore bilanciamento a favore del tempo da dedicare alla vita privata, alle relazioni familiari e agli interessi personali. In effetti possiamo dire che la Yolo Economy è una corrente di pensiero che sta drasticamente rivoluzionando il mercato del lavoro: per quei pochi che non sanno ancora cosa significhi, la traduzione di questo acronimo, “You Only Live Once”, è “si vive una volta sola”. E se si vive una volta sola dobbiamo cercare di vivere bene, al meglio delle nostre possibilità.

È abbastanza ovvio che questo fenomeno, sicuramente già latente negli anni passati, abbia avuto una nuova genesi nel periodo della pandemia e abbia prodotto un ripensamento sulle priorità da valorizzare da parte dei lavoratori. In particolare, la pandemia sembra aver creato, soprattutto nelle generazioni X e Y, la voglia e il desiderio di lavorare in modo differente rispetto alle generazioni che le hanno precedute.

IL FUTURO DEL LAVORO: FLESSIBILITÀ AL PRIMO POSTO

Da quello che è emerso dagli studi che hanno analizzato questo fenomeno, sempre più persone vogliono svolgere un’attività lavorativa più flessibile che permetta loro di lavorare da casa e quando si è in viaggio. Inoltre, rispetto al passato i più giovani sembrano preferire un’attività da freelance rispetto a un lavoro da dipendente che indubbiamente concede più garanzie, ma anche più obblighi verso il datore di lavoro. Per questo motivo, sembra che per crearsi un futuro migliore e alla portata delle proprie necessità e aspirazioni i giovani siano più propensi al rischio per ampliare i propri orizzonti. Riepilogando, quindi, le principali caratteristiche della Yolo Economy sono: luoghi di lavoro meno tradizionali; un lavoro più propositivo e interessante; orari flessibili; più voglia di concentrarsi sulle proprie passioni.

A livello generale, devo dire che molte aziende e molti imprenditori non hanno ancora capito questo atteggiamento e non hanno le stesse consapevolezze mostrate da questi giovani lavoratori. Un recente sondaggio condotto da Future Forum dimostra, infatti, come sia attualmente in corso una profonda disconnessione tra questi due mondi su come viene inteso il futuro del lavoro. A livello di blue collar, la preferenza dei dirigenti per le politiche di ritorno in ufficio sta appunto minacciando la soddisfazione e la fidelizzazione dei dipendenti. Tutto ciò però riguarda la gestione del personale o comunque il mood di una generazione, in un ambito di “ufficio”, dove soluzioni già accennate all’inizio, ossia dello smart working e del lavoro ibrido, possono rappresentare una buona sintesi e un giusto compromesso.

COME RIPENSARE IL LAVORO NELLA DISTRIBUZIONE MODERNA

Ma come facciamo a ipotizzare un lavoro ibrido in un punto di vendita della moderna distribuzione? Ossia, come riuscire a coniugare le esigenze sostanzialmente stanziali e ripetitive di alcune funzioni “classiche” con questo nuovo movimento concettuale? Come riuscire a convincere un giovane a stare nel supermercato il sabato sera sino alle 22:00? Come attrarre giovani gastronomi a essere presenti alle 7:30 in punto di vendita la domenica mattina? Sarò “antico”, ma persino al tempo di chatGPT mi sembra complicato disossare un buon prosciutto crudo attraverso una call in Teams, oppure far assaggiare la dolcezza di una nuova caciotta al cliente attraverso Google Meet…

Il problema c’è quindi ed è molto complesso. Sempre di più abbiamo difficoltà ad attrarre le nuove generazioni e a investire le loro competenze nel nostro settore. Chiaramente, non possiamo basarci solo sulla resilienza di chi lavora già da anni in un supermercato. Partiamo dalla questione degli orari di lavoro: sia come associazioni datoriali del commercio sia direttamente come singole realtà imprenditoriali, abbiamo promosso per anni la necessità di aprire il più possibile alla flessibilità. Ma come? Vogliamo combattere il terribile nemico dell’e-commerce e chiudiamo la domenica? Essendo il sottoscritto riconosciuto come “iper Technology addicted”, posso anche permettermi il lusso di profetizzare a ragion veduta che nel food e soprattutto nelle categorie fresco e freschissimo ad alto tasso di coinvolgimento emozionale e sensoriale verso i prodotti, i clienti ricominciano ad amare l’utilizzo dei cinque sensi “in presenza” nel processo di scelta e di acquisto al posto dello sterile contatto con il carrello su pc solleticato dal ditino sul computer.

Ritornando agli orari di lavoro, alcune catene hanno, a mio avviso sbagliando e sprecando ingenti risorse economiche, attuato l’apertura totale 24 ore per 365 giorni l’anno. Quale può essere infatti il senso di tenere aperto, soprattutto in un piccolo paesino, un supermercato o anche una superette per qualche cliente che sente la necessità di effettuare un acquisto last minute o di emergenza alle tre di notte? E i lavoratori notturni impegnati nel punto di vendita, che ne pensano al riguardo? Ma senza arrivare a questi eccessi, esiste ancora la spasmodica necessità di tenere aperto 14 ore al giorno il punto vendita? O di stare aperti tutte le domeniche? In più, al di là degli orari, non vorrei che il grado di soddisfazione o, meglio, insoddisfazione del personale si trasformasse in un boomerang rispetto alla tanto agognata “customer care” nei confronti dei clienti.

In un contesto come quello che ho appena descritto, come possiamo attrarre quindi i giovani? Chiaramente non esiste una soluzione capace di soddisfare le esigenze di tutti e certamente non è quella di ipotizzare una sorta di rivoluzione culturale che in un periodo così complesso di crisi, transizioni e trasformazioni vede comunque la distribuzione moderna con i suoi punti di vendita fisici esercitare un modello di coesione vincente con le comunità.

STRATEGIE DI ASCOLTO PER CONTRASTARE IL TURNOVER

Non possiamo cambiare il mondo quindi, ma possiamo trattarlo con maggiore gentilezza, empatia e inclusione. La frase tipica di un colloquio di assunzione che illustra i termini contrattuali, “questa è la proposta, prendere o lasciare”, provoca inevitabilmente delle conseguenze pesanti sul livello di motivazione e di ingaggio del lavoratore. Se vogliamo attrarre giovani professionisti di settore (un bravissimo gastronomo, un eccellente addetto alla macelleria o al reparto ittico, l’alchimista dell’ortofrutta, ecc.) occorre trovare nuove strategie di ascolto delle esigenze e delle aspettative di ciascuno, altrimenti il rischio è quello di un elevato turnover di insoddisfatti e inevitabilmente di non riuscire più a sopperire alla mancanza di forza lavoro e di specialisti di mestiere.

Aumenti retributivi? Non è probabilmente sufficiente. La formazione? Certamente rappresenta una leva fondamentale per coinvolgere e dare concretamente un segnale di “significato” e di crescita professionale ai giovani che entrano nel mercato del lavoro. E probabilmente sulla formazione non si investe abbastanza. Potenziare i sistemi di welfare? In molti casi è una scelta apprezzata, ma vanno intercettati i reali bisogni dei giovani lavoratori in funzioni delle loro aspettative e necessità.

VALORIZZARE L’INDIVIDUO

Offrire prospettive di crescita preferenziali e più veloci per i giovani talenti, e soprattutto ascoltarli, potrebbe rappresentare una strada interessante o comunque un tentativo da percorrere. È evidente che il problema sia molto complesso e non può trovare come tale univoche soluzioni. Resta il fatto che oggi più che mai è fondamentale attivare una fase di ascolto già dai primi colloqui di selezione. È sempre più importante inserire le persone giuste al posto giusto valorizzando il più possibile le attitudini e le competenze dei singoli. Pensare che all’interno di una stessa generazione tutti abbiamo le stesse aspirazioni e necessità può creare un’errata percezione della realtà. Ad esempio, se riusciamo a intercettare giovani con un atteggiamento imprenditoriale forse è su di loro che possiamo contare per realizzare all’interno dei nostri punti vendita il concetto di “shop in the shop”, contando sulla loro propensione ad assumere responsabilità e ad agire con maggiore proattività.

Ci sono giovani che hanno come necessità primaria il bisogno di sicurezza, di trovare nel posto di lavoro una stabilità che consenta loro di rendersi autonomi e di poter far fronte a impegni personali familiari o di studio. In alcuni casi, il part-time o la possibilità di lavorare su turni verticali può essere una soluzione capace di rispondere a esigenze particolari o a crisi temporali che possono capitare alla vita di ciascuno di noi.

Come sappiamo, le leve motivazionali sono variegate ed estremamente soggettive. Ovviamente, è necessario un salto culturale anche da parte del management. Improvvisarsi velocemente capi, responsabili e coach dei giovani in un punto vendita non è mai un’attività banale. Ecco perché la formazione può aiutare e sostenere le persone che poi saranno preposte a portare avanti la crescita delle nuove generazioni lasciando loro un testimone importante e ricco di esperienza. Il mio consiglio è quello di non fare gli struzzi e di mettere la testa sotto la sabbia. L’alternativa è che non vi sia solo la parola Yolo (“You Only Live Once”) a minacciare la stabilità del nostro lavoro (che ha bisogno di stabilità), ma che si inneschi un nuovo acronimo: Sdd “Supermarket Definitely Dies”, Il supermercato muore definitivamente.

Voi che ne pensate?

© Riproduzione riservata